Verona: il Trovatore delle star inaugura davvero la stagione dell’Arena
I trofei d’armi e le tre torri, fatte di lance, picche, scudi ed insegne che svettano sul palcoscenico sono illuminate imperiosamente dai barbagli di due colori dominanti: il rosso intenso della passione ed il blu ghiacciato della gelosia, che si fondono e si stemperano, si contrappongono e si sfumano l’uno nell’altro a sottolineare i momenti topici dell’azione.
È un Trovatore a tinte forti, ambientato in una Spagna religiosa e barbarica ad un tempo, quello che Franco Zeffirelli realizzò per il festival areniano del 2001 e che appare ancora di grande fascino.
Non ci sono mezze misure, tutto in scena è gigantesco ed incombente, a cominciare dai due cavalieri in armatura che infieriscono sui loro avversari posti ai lati del boccascena. La chiesa, abbagliante d’oro, che si disvela nel secondo atto, è racchiusa nel grigio ferrigno delle armi della torre centrale e lascia il posto, nel quarto atto, alla segreta nella quale sono prigionieri Manrico ed Azucena.
È bello questo Trovatore, perché Zeffirelli ne coglie la sostanza più intima e, pur rimanendo fedele all’iconografia tradizionale, riesce a non essere pleonastico pur in una esteriorizzazione ostentata. La recitazione è volutamente caricata, le masse in armi, istruite da Renzo Musumeci Greco, si muovono irruente, il quartetto dei protagonisti non nasconde mai i propri sentimenti, anzi, tutto è sanguigno, esplicito.
I costumi, ricchissimi, di Raimonda Gaetani traggono ispirazione dalla pittura preraffaellita e sono allo stesso tempo quasi un omaggio alla grande scuola cinematografica di Alessandro Blasetti nel loro riecheggiare “La cena delle beffe” ed “Ettore Fieramosca”.
Efficace il light-design.
Unico neo l’inserimento di parte dei ballabili, scritti da Verdi per la versione francese dell’opera, spezzettandoli tra l’inizio del secondo atto ed il terzo, ove andrebbero eseguiti, il tutto a beneficio di un’esibizione discutibile e ripetitiva della compagnia di danza El Camborio.
Chi ha curato il riallestimento ha tutto sommato reso discreta giustizia all’orignale, nonostante qualche piccola sciatteria qua e là.
Il vero motivo d’attrazione di questa ripresa – e non avrebbe potuto essere altrimenti – è costituito, una volta tanto, da una compagnia di canto che rialza di colpo l’asticella qualitativa delle produzioni areniane, riportandola a livelli ormai dimenticati da tempo.
Protagonista indiscussa la star delle star Anna Netrebko, che non tradisce la sua fama e cesella una Leonora autenticamente belcantista – così come si conviene al personaggio – tutta giocata sui fiati, capace di mezzevoci e filati ammaliatori, meditata nel fraseggio, cesellata nelle dinamiche, accorta negli abbellimenti.
La Netrebko canta ogni singola parola, varia sapientemente i da capo, accenta e sottolinea. Il suo “D’amor sull’ali rosee” è uno dei più commoventi che ci sia stato dato ascoltare negli anni tanto è ricco di colori e di intenzioni. Le si perdonano volentieri i suoni di petto che predilige soprattutto nei recitativi, forse non appropriati ma comunque testimoni della muscolarità che comunque è parte del suo canto.
Della non bellezza della voce di Yusif Eyvazov si sono scritti fiumi d’inchiostro – talora anche a sproposito – e tuttavia il suo Manrico convince completamente. Eyvazov ha il dono raro della modestia e della capacità di mettersi sempre in discussione, studiando con coscienza e umiltà fino a superare di fatto i limiti che la natura gli imporrebbe. Fraseggia bene, colora, accenta, è musicale, non bara sulle note, non “aggiusta”: rara avis. La sua “pira” è cantata tutta e con sicurezza, così come “Mal reggendo all’aspro assalto” e più ancora “Ah sì ben mio” risultano permeati da un lirismo intenso e al contempo giovanilmente freschi.
Luca Salsi è de Luna che tradisce a tratti qualche nervosismo ma in ogni caso ben centrato nel carattere mutevole del personaggio e che, soprattutto quando canta piano, si rivela in tutto il suo fascino.
Ottimo il Ferrando del debuttante Riccardo Fassi, dalla presenza scenica imponente e vocalmente impeccabile.
Azucena è quel che resta di Dolora Zajic, ovvero gravi possenti e usati a mani basse, centri inesistenti e acuti ondivaghi; a questo si aggiunga che intere frasi vengono tralasciate e che la pronuncia è del tutto incomprensibile. In qualche maniera il personaggio emerge, ma è troppo poco per classificare la prova come sufficiente.
Carlo Bosi nobilita qualunque cosa canti e il suo Ruiz non si discosta da questo assunto.
Nei ruoli di contorno si distingue la Ines partecipe di Elisabetta Zizzo, il vecchio zingaro impeccabile di Dario Giorgelè e il messo del sempre bravo Antonello Ceron.
Il coro, preparato da Vito Lombardi, ci è parso particolarmente ispirato.
Pier Giorgio Morandi, erede della scuola di Giuseppe Patanè, tiene saldamente le fila con una concertazione non esaltante nelle dinamiche ma sempre a punto nei tempi e ben calibrata quanto a scelte ritmiche, consacrando la bacchetta prima di tutto ai cantanti.
Non è un Trovatore flamboyant il suo, ma è comunque capace di bei momenti drammatici e di efficaci spunti lirici.
Pubblico giustamente galvanizzato e trionfo finale, con ovazioni – che facevano seguito ai numerosi applausi a scena aperta – per la Netrebko, Eyvazov e Salsi.
Alessandro Cammarano
(29 giugno 2019)
La locandina
Direttore | Pier Giorgio Morandi |
Regia e scene | Franco Zeffirelli |
Costumi | Raimonda Gaetani |
Coreografia | El Camborio |
Maestro d’armi | Renzo Musumeci Greco |
Personaggi e Interpreti | |
Il Conte di Luna | Luca Salsi |
Leonora | Anna Netrebko |
Azucena | Dolora Zajick |
Manrico | Yusif Eyvazov |
Ferrando | Riccardo Fassi |
Ines | Elisabetta Zizzo |
Ruiz | Carlo Bosi |
Un vecchio zingaro | Dario Giorgelè |
Un messo | Antonello Ceron |
Maestro del Coro | Vito Lombardi |
Orchestra, coro, ballo e tecnici dell’Arena di Verona |
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