La Mahler Jugendorchester, giovane corazzata della musica

Prima dei pezzi da novanta fra le orchestre – è in avvicinamento la Filarmonica di San Pietroburgo, seguiranno la Sinfonica Rai e la Philharmonia di Londra – il Settembre dell’Accademia ha offerto la ribalta ai giovani per due concerti di alto livello e di molti significati. Dopo l’anteprima con l’agile Turkish National Youth Orchestra, è stata la volta, per la vera inaugurazione della rassegna veronese al teatro Filarmonico, giunta alla ventiseiesima edizione, della Gustav Mahler Jugendorchester, che sta festeggiando il suo trentennale con una vasta tournée internazionale. Le radici di questa formazione sono insieme austriache – punto di partenza e base a Vienna – e italiane, visto che nel 1987 il progetto fu di Claudio Abbado. La sua realtà è autenticamente multinazionale e cosmopolita, perché coinvolge tutta l’Europa nella ricerca dei giovani talenti sotto i 26 anni da far lavorare insieme, portandoli a contatto con le straordinarie esperienze del far musica insieme.

Dopo 30 anni, la Mahler Jugend appare come una corazzata della musica che non ha nulla da invidiare alla maggior parte delle formazioni stabili e “non giovanili”. E la serietà e la profondità del lavoro di selezione si riflettono in risultati comunque di alto livello, nonostante ogni anno gli organici siano soggetti a rinnovamento. Per questa tournée il lavoro preparatorio ha riguardato opere di autori come Schubert e Messiaen, Mendelssohn e Schönberg, Gershwin e Bartók, Ravel e Dvořák. Il che dimostra, fra l’altro, che qualche volta si può anche fare a meno di Beethoven o di Cajkovskij, o del grande eponimo della formazione, Gustav Mahler.

Con la premessa di simili scelte, intelligenti e originali, era inevitabile che anche la serata veronese si caratterizzasse per un programma quanto meno insolito. Spazio quasi esclusivo per il Novecento, quindi, con il Concerto per pianoforte in Fa di Gershwin, la Suite da Il Mandarino meraviglioso di Bartók e la seconda Suite di Ravel per il Balletto Daphnis et Chloè. A precedere il tutto, l’ouverture da concerto Nel regno della natura di Dvořák, che per molti aspetti appare pagina meno ispirata di altre dell’autore boemo, ma non meno elegante e ricca di colori.

La Mahler Jugend si è presentata in organico foltissimo, a stento contenuto dal palcoscenico del Filarmonico e una prima evidenza del suo virtuosismo si è avuta nella brunita compattezza del suono, sempre curato in ogni particolare dal direttore Ingo Metzmacher. Il Concerto di Gershwin, così tipicamente rapsodico nel suo fiorire di motivi e di ritmi nonostante l’ambizione formale classica dell’autore americano, ha visto le sezioni dei legni e degli ottoni dispiegare la propria precisione e qualità timbrica senza incertezze, mentre alla tastiera l’esperto e raffinato Jean-Yves Thibaudet proponeva una ricognizione di squisita eleganza fra il melodismo avvincente, le screziature swing, l’introspezione lirica (in particolare evidente nelle atmosfere notturne dell’Adagio).

Ma è stata la seconda parte della serata a offrire l’evidenza maggiore della straordinaria qualità di questa formazione giovanile. Si è passati infatti dalla tensione espressionista del Mandarino meraviglioso di Bartók, in alcuni momenti vera e propria “tempesta sonora”, inquietante nella sua tagliente drammaticità, alle rarefatte atmosfere timbriche con cui Ravel “ricostruisce” la mitologia classica. Mondi espressivi antitetici, per molti aspetti, anche se cronologicamente distanti appena un quindicennio (la partitura di Ravel debuttò nel 1912, quella di Bartók nel 1926) e accomunati dal comune rapporto con la danza. Mondi disegnati con sapiente dettaglio analitico da Metzmacher e con grande eloquenza sonora dalla Mahler Jugend. Il direttore di Hannover conosce l’arte dell’equilibrio espressivo pur nella profondità della partecipazione emotiva. Il suo Bartók è di lancinante inquietudine, ma non perde mai di vista la sapienza della costruzione; il suo Ravel è un “flou” di atmosfere rarefatte, ma non trascura la chiarezza classicistica che spesso permea l’invenzione del compositore francese, né la sua tipica sensibilità per le eclettiche combinazioni fra ritmi e timbri. La Mahler Jugend lo segue compatta, in sovrano equilibrio fra le sezioni (da sottolineare l’omogeneità “rabbiosa” degli archi, l’eloquenza degli ottoni, l’eleganza di flauti, clarinetti e oboi): una grande e trascinante “macchina sonora” che si apprezza nell’impatto complessivo non meno che nella cura dei dettagli.

Pubblico folto, al Filarmonico, e un po’ circospetto nelle accoglienze, specie dopo Bartók e Ravel, che certo non fanno parte del grande e risaputo repertorio. Dopo Gershwin, Thibaudet è stato salutato con molta simpatia e ha ringraziato con l’Intermezzo op. 118 n. 2 di Brahms. Gli applausi in crescendo alla fine non hanno portato a nessun bis da parte della Mahler Jugendorchester.

Cesare Galla

La locandina

GUSTAV MAHLER JUGENDORCHESTER
Direttore Ingo Metzmacher
Pianoforte Jean-Yves Thibaudet
A. Dvořák, G. Gershwin, B. Bartók, M. Ravel

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