La polvere del tempo sulle Nozze di Martone al Teatro Filarmonico di Verona

Dodici anni e dimostrarli un po’; tanti ne ha l’allesimento delle Nozze di Figaro firmato da Mario Martone. Se al suo primo apparire tutto sembrava fresco e a posto, oltre che del tutto coerente con lo spirito del capo d’opera mozartiano oggi, rivedendolo per la quarta volta, qualcosa ci sembra non funzionare più così bene.

Intendiamoci, quella di Martone, che si avvale della scena fissa di Sergio Tramonti, dei costumi elegantissimi di Ursula Patzak e delle ben risolte coreografie di Anna Redi , è una lettura tradizionale ma senza pecche di calligrafismo; la collocazione dell’azione è rispettata nell’epoca, il filo drammaturgico è perseguito con coerenza e tuttavia qualche gag risulta datata e, nonostante la ripresa puntuale di Raffaele di Florio, lo spirito mozartiano, e prima ancora la verve della pièce di Beaumarchais, appare inesorabilmente offuscato.

Lo scalone tramontiano appare incombente a schiacciare l’azione, spesso troppo sbilanciata al proscenio quando non in platea e il disegno di luci di Pasquale Mari, qui nella ripresa di Fiammetta Baldisseri, risulta tetro in più di un momento.

Sesto Quatrini, al suo debutto sul podio nel titolo, appare più che guardingo nel corso dei primi due atti, concentrato a far quadrare al meglio gli equilibri tra buca e palcoscenico, per poi sciogliere l’Orchestra, puntuale e partecipe, nel terzo e quarto in una narrazione musicale poggiata su dinamiche variegate e ritmi incisivi che alla fine risulta del tutto convincente.

Debuttante anche il Figaro di Gabriele Sagona, impeccabile nel fraseggio, dalla linea di canto adamantina e sempre attento alla resa della parola e del gesto scenico.

Convince la Susanna tutt’altro che remissiva di Ekaterina Bakanova, dalla voce fresca e sciolta nel fraseggio.
Nella coppia nobile spicca il Conte di Christian Senn, che non perde un colpo delineando con voce superba un personaggio tutto giocato sulle sfumature, mentre suscita qualche piccola perplessità la Contessa di Francesca Sassu, credibile scenicamente ma talora in debito d’intonazione.

Aya Wakizono delinea un Cherubino spensierato ma a tratti troppo incline alla buffoneria, cantato comunque con bella sicurezza.

Il Bartolo di Bruno Praticò è un capolavoro dal punto di vista della recitazione, che fa ben presto passare in secondo piano una condizione vocale che risente inevitabilmente dello scorrere del tempo.

Buona ci è parsa la Marcellina di Francesca Paola Geretto, attenta a non cadere in macchiettismi stucchevoli e perfetto il Basilio di Bruno Lazzaretti. Un po’ leziosa la Barbarina di Lara Lagni.

Ottimo l’Antonio di Dario Giorgelè ed efficace il Don Curzio di Paolo Antognetti.
Bene il Coro preparato da Vito Lombardi.
Pubblico entusiasta e successo pieno per tutti.

Alessandro Cammarano
(Verona, 31 marzo 2018)

La locandina

Direttore Sesto Quatrini
Regia Mrio Martone
Ripresa da Raffaele Di Florio
Scene Sergio Tramonti
Costumi Ursula Patzak
Coreografia Anna Redi
Lighting Design Pasquale Mari
Ripreso da Fiammetta Baldiserri
Conte d’ Almaviva Christian Senn
Contessa d’ Almaviva Francesca Sassu
Susanna Ekaterina Bakanova
Figaro Gabriele Sagona
Cherubino Aya Wakizono
Marcellina Francesca Paola Geretto
Bartolo Bruno Praticò
Basilio Bruno Lazzaretti
Don Curzio Paolo Antognetti
Barbarina Lara Lagni
Antonio Dario Giorgelè
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Maestro del Coro Vito Lombardi

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