Verona: “Pastorale” ascetica e Settima scultorea. Il Beethoven di Chung
La storia esecutiva della Sesta e della Settima Sinfonia inizia con due degli eventi pubblici più noti, ma anche più singolari – se confrontati l’uno con l’altro – della biografia di Beethoven. Le prime esecuzioni si ebbero infatti a Vienna, a distanza di cinque anni, nel corso di concerti dai risultati praticamente opposti, fra i poli del vero e proprio disastro e del trionfo.
La Pastorale debuttò al teatro An der Wien il 22 dicembre 1808, inserita in una colossale “beneficiata” (cioè una serata a favore dell’autore) che comprendeva anche la Quinta Sinfonia, il quarto Concerto per pianoforte, alcuni pezzi della Messa in Do maggiore, la Fantasia per pianoforte coro e orchestra. Passò inosservata e nessuno se ne stupisce neanche oggi. Il caos era tale, che la Fantasia dovette essere ricominciata da capo perché i musicisti si erano “persi”. E poi, quasi cinque ore di musica evidentemente erano troppi anche per gli usi dell’epoca. Il fiasco fu integrale, sia dal punto di vista artistico, per la mediocre preparazione degli interpreti, sia per il risultato economico con costi molto superiori agli incassi. Anche perché il pubblico aveva largamente snobbato la velleitaria proposta.
Se nel 1808 Beethoven molto a fatica poteva mettersi alla guida di un’orchestra, a causa della sua progressiva sordità, e rischiava quindi incidenti di tutti i tipi, figurarsi cinque anni dopo, l’8 dicembre 1813. Quella sera però, nell’aula magna dell’Università di Vienna, il concerto fu molto partecipato anche perché aveva forte connotazione patriottica, dato che l’incasso era destinato ad aiutare i soldati austriaci e bavaresi feriti nella battaglia di Hanau, combattuta con esito infausto il 30 ottobre contro le truppe napoleoniche in ritirata verso la Francia dopo la disfatta di Lipsia. E la prima esecuzione della Settima si risolse in un grande trionfo. D’altra parte, quella sera l’orchestra era formata dai principali musicisti viennesi, che non avevano voluto mancare l’occasione. I problemi di Beethoven nel dirigere erano cresciuti, ma furono vissuti dal pubblico e dagli esecutori con ben altra benevolenza, e con ogni probabilità “assorbiti” dalla maestria tecnica degli esecutori. Fra i violini sedeva anche il compositore Louis Spohr, che in seguito testimoniò l’impressione generata da questa Sinfonia e specialmente da quello che definisce “l’incantevole Allegretto”, che fu bissato seduta stante per due volte.
Più lontane che vicine, Sesta e Settima non sono affiancate spesso nei programmi dei concerti, ma Myung-Whun Chung ama confrontare i grandi capolavori, anche oltre le consuetudini. E dunque, per il suo ritorno a Verona alla testa della Filarmonica della Scala (si trattava quanto meno della terza volta, sempre grazie al benemerito Settembre dell’Accademia) ha proposto proprio questa singolare accoppiata, regalando un’esperienza di ascolto memorabile. La Pastorale secondo Chung si caratterizza per un suono spinto verso gli estremi dell’essenzialità, e tuttavia lontano dall’esilità o della mancanza di carattere. E la Filarmonica della Scala lo segue con una chiarezza, una “presenza” e una qualità timbrica davvero straordinarie. C’è qualcosa di ascetico in questa lettura, che regala trasparenze inaudite e dolcezze tutte interiorizzate ma non si ritrae quando occorre che l’energia passi all’esterno e diventi concretamente “espressione di sensazioni”, come voleva il compositore rifuggendo dalle banalità della “pittura in musica”. Ogni esteriore allusione programmatica è abbandonata a favore di una vera e propria meditazione filosofica intorno al suono, che non rinuncia però a momenti di straordinaria eleganza e rispetta con rigore le articolazioni della forma.
Al cospetto della Settima, il direttore coreano non ha cessato di esercitare un ferreo controllo sulle relazioni fra le parti all’interno dell’orchestra, sempre esaltando l’equilibrio, la precisione e l’intensità dei filarmonici scaligeri, ma ha anche scatenato la pulsazione vitale del ritmo che pervade interamente questo capolavoro. Il fraseggio ha così finito per assumere una connotazione quasi tridimensionale, nel rapporto fra tempi, dinamiche e colori. E il culmine – non a caso – si è avuto nell’Allegretto, restituito con una tensione drammatica di scultorea evidenza eppure in qualche modo sovranamente distaccata, lontana dalla teatralità funebre di una certa vulgata esecutiva, e irrorata invece da una nitidezza contrappuntistica capace di additare le nascenti nuove coordinate del pensiero musicale beethoveniano, quelle che si affermeranno nel suo ultimo stile.
Il pubblico, avvinto, è esploso alla fine in un’ovazione entusiastica, letteralmente interrotta all’ennesimo ritorno di Chung sul palcoscenico, dall’attacco del bis: la galoppata che conclude l’Ouverture del Guillaume Tell, con le sue fanfare trionfanti, vetrina per la brillantezza degli ottoni della Filarmonica della Scala.
Cesare Galla
(17 settembre 2018)
La locandina
Filarmonica della Scala | |
Direttore | Myung-Whun Chung |
Programma: | |
Ludwig van Beethoven | |
Sinfonia n. 7 in la maggiore Op. 92 | |
Sinfonia n. 6 in fa maggiore Op. 68 |
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