Verona: quel che resta di Domingo
Preceduta da nuove voci riguardo a presunti abusi a sfondo sessuale da parte di Placido Domingo nei confronti di alcune donne – le prime accuse risalgono al 2018, le più recenti a pochi giorni fa – e conseguenti prese di posizione da parte di organizzazioni femminili e sindacali, oltre ad alcuni articoli durissimi riguardo alle scelte della Fondazione Arena apparsi sulla stampa statunitense e in particolare sul Washington Post, che ne chiedevano la cancellazione la Verdi Opera Night è andata regolarmente in scena, in un’Arena assai affollata, segnando la Götterdammerung definitiva del tenore, poi baritono, già stella del canto per almeno mezzo secolo.
Del cantante dei tempi che furono non resta nulla se non un signore molto anziano, apparso a tratti spaesato, bisognoso di un braccio a sostenerlo anche per fare pochi passi. La voce non esiste più, il canto è ridotto ad un ciangottare grottesco e tristissimo, la parola mutata in un grammelot tragico.
Perché sottoporsi a tutto questo? Perché “il pubblico lo chiede”? Perché il motto di Domingo è “If I rest, I rust” (“Se mi riposo mi arrugginisco”)? È onorevole tutto ciò? Si fa un buon servizio alla musica?
Alla fine è accaduto quel che, per rispetto alla platea, non sarebbe dovuto accadere e poco prima della scena del banchetto nel Macbeth è giunto dagli altoparlanti l’annuncio trilingue del forfait dell’anziano cantante e la sua sostituzione con Roman Burdenko evidentemente già pronto dietro le quinte, annuncio al termine del quale un solo “vergogna” si è levato dalla gradinata più alta, richiamando alla memoria quell’ “il re è nudo” pronunciato dal bimbo della favola “I vestiti nuovi dell’imperatore”.
In programma estratti dal secondo atto dell’Aida, una selezione dal Don Carlo e l’intero secondo atto del Macbeth allestiti da Stefano Trespidi, regista e vicedirettore artistico della Fondazione oltre che “indiscusso conoscitore degli spazi dell’anfiteatro veronese” – così recita il comunicato stampa relativo alla serata –, con la collaborazione di Ezio Antonelli per le “scene” e Paolo Mazzon alle luci, mentre a dirigere l’orchestra era chiamato Jordi Bérnacer.
L’approssimazione regna sovrana: la scena del trionfo dell’Aida è risolta con imbarazzante superficialità, con i costumi provenienti dalla produzione zeffirelliana che deconetstualizzati appaiono ridondanti e pacchiani e i movimenti scenici affidati alla buona volontà di ciascuno.
Terrificanti i ballabili: altro che black-face, qui si rasentava il vilipendio tanti erano gli stereotipi “africani” inseriti nella coregragia di Luc Bouy.
Bérnacer qui riesce nella non facile impresa di mandare tutti fuori giri, a cominciare dal povero Fabio Sartori – che per altro da ottimo professionista qual è ritrova da solo e rapidamente il giusto cammino – e il Coro in serata “liberi tutti”. Convincono l’Aida di Maria José Siri e il Re di Simon Lim, Ildar Abdrazakov nei panni di Ramfis fa capire immediatamente chi sarà il trionfatore della serata; non pervenuta l’Amneris di Yulia Matochkina. Placido Domingo era Amonasro.
Nel successivo florilegio dal Don Carlo, fra colonnine di marmo e il sarcofago di Carlo V, Bérnacer ritrova misura anche se in una generale debolezza di intenzioni e Sartori canta un ben centrato “Io la vidi”, seguito da un “Ella giammai m’amò” con Abdrazakov strepitoso a cesellare un Filippo tormentato e umanissimo. La Siri porta onorevolmente a casa “Tu che le vanità”, ma che sforzo negli acuti che si chiudono assottigliandosi. Della grande scena Filippo-Posa si dica solo che Il Re canta e fraseggia in modo sublime e il Marchese no.
Il Macbeth ambientato in qualcosa che somiglia alla Berlino degli Anni Trenta sarebbe scenicamente convincente, se solo gli invitati al banchetto non avessero il ballo di San Vito e soprattutto i sicari del quadro precedente non fossero in numero sufficiente a sterminare un paese mediamente popolato. Nel duetto con la Lady Domingo inventa parole e musica, mostrando i segni che lo porteranno a rinuciare alla conclusione della serata.
Per fortuna Abdrazakov è Banco di caratura ancora una volta sopraffina e Burdenko canta davvero benissimo; la Siri si difende come può ma è una Lady, non se ne adombri, per necessità di copione.
Alla fine consensi non torrenziali se non per Abdrazakov e Domingo che esce a ringraziare sottobraccio a Burdenko privando, cafonissimamente, il baritono russo degli applausi che avrebbe meritato.
Alessandro Cammarano
(25 agosto 2022)
La locandina
Direttore | Jordi Bernacer |
Regia | Stefano Trespidi |
Scene | Ezio Antonelli |
Luci | Paolo Mazzon |
Coreografia | Luc Bouy |
Personaggi e interpreti: | |
Aida | |
Amonasro | Plácido Domingo |
Aida | Maria José Siri |
Amneris | Yulia Matochkina |
Radamès | Fabio Sartori |
Ramfis | Ildar Abdrazakov |
Il Re | Simon Lim |
Don Carlos | |
Rodrigo | Plácido Domingo |
Elisabetta | Maria José Siri |
Don Carlo | Fabio Sartori |
Filippo II | Ildar Abdrazakov |
Macbeth | |
Macbeth | Plácido Domingo |
Macbeth | Roman Burdenko |
Lady Macbeth | Maria José Siri |
Dama | Sofia Koberidze |
Macduff | Fabio Sartori |
Sicario | Gabriele Sagona |
Banco | Ildar Abdrazakov |
Orchestra, coro e corpo di ballo dell’Arena di Verona | |
Maestro del Coro | Ulisse Trabaccin |
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