Verona: unità cromatica nella Carmen in Arena
Il 18 luglio alle 21, si è tenuta in arena la quarta recita di Carmen per l’Arena Opera Festival 2019. Il capolavoro di Bizet è andato in scena nel grande anfiteatro diretto da Daniel Oren alla guida dell’Orchestra e Coro dell’Arena di Verona, con le scene, la regia e i costumi di Hugo de Ana, la coreografia di Leda Lojodice, le luci di Paolo Mazzon e le proiezioni di Sergio Metalli.
Uno spettacolo che ha beneficiato di una straordinaria unità tra visione musicale e visione drammatica: spostata di qualche decade nel pieno di una Spagna anni ‘30, la Carmen di Oren e De Ana è maestosa eppure raffinata, colorata eppure sobria, con un’unità cromatica che esalta il teso svolgimento della vicenda senza perdersi in eccessi, tenendo sempre ben controllati tanto gli affollati affreschi sul palco quanto il florilegio timbrico nell’orchestra.
Lo spettacolo di De Ana è noto al pubblico già dalla precedente stagione, ma non cessa di essere efficace: la composizione delle scene favorisce una visione profondamente corale del lavoro, in cui i protagonisti appaiono quasi sempre mischiati alla folla, semplici uomini inseriti in un mondo più forte di loro, che alla fine ingloba le vite di Carmen e Don José, incapaci di piegarsi ed adattare e di adattarsi e al contempo schiacciati nella loro intimità.
L’asciuttezza ha notevolmente rafforzato la drammaticità: la Carmen di Géraldine Chauvet si è distinta proprio per saldezza e solidità, mai volgare, mai di una sensualità piaciona, ma più seducente in quanto selvaggiamente libera, lontana da ogni pretesa borghese e dunque ancor più attraente. Il mezzosoprano francese ha saputo trovare in questo tinte particolarmente adatte, soprattutto nei registri medio e acuto, mentre quello grave tendeva istantaneamente ad irrigidirsi su un’affilata drammaticità, non sempre adatta. Splendida l’habanera, veramente elegante, e colma di dignità e solennità l’accettazione del proprio destino.
Veramente ottima la Micaela di Lana Kos, che si è distinta per morbidezza di timbro e cortese innocenza, riuscendo a trovare un ottimo incontro tra una vocalità forte e ben appoggiata e l’intimità ingenua del personaggio.
Meno bene il Don José di Martin Muehle, il quale, dopo un annuncio che comunicava la sua indisposizione, è stato infatti sostituito dopo il primo atto da Mikheil Sheshaberidze, che ha invece fatto un’ottima prova. Dopo qualche istante di riscaldamento, Sheshaberidze ha saputo rendere un ottimo Don José, umorale e debordante, riuscendo a sostenere bene la parte vocale senza eccessi di esibizionismo ma con convinzione: considerata la situazione, un trionfo.
Buono l’Escamillo di Alberto Gazale, che mancava però di definizione e giovanile spavalderia capace anche di leggerezza.
Molto bene Karen Gardeazabal (Frasquita) e Clarissa Leonardi (Mercédès), vivaci e ben centrate nel ruolo, vocalmente solide e molto chiare anche negli insieme. E proprio l’insieme è stato assai notevole, soprattutto nello splendido quintetto con Carmen e gli ottimi Gianfranco Montresor (Dancairo) e Roberto Covatta (Remendado), eseguito con gran cura delle dinamiche e splendido effetto timbrico. Bene il Moralès di Italo Proferisce e molto riuscito lo Zuniga di Gianluca Breda, aspro ed arrogante, con voce ben definita e controllata.
Assai ben condotta l’esibizione dell’Orchestra dell’Arena diretta da Oren, che è sempre riuscito a tenere ben domata la fierezza spagnoleggiante affinché non si perdesse in facili orientalismi, facendo risaltare invece la raffinatezza timbrica della partitura francese, anche aiutato da una placida serata senza troppo vento, che ha consentito di godere di alcuni dettagli persino nel vasto anfiteatro. Molto buono l’insieme tra orchestra e palco, salvo qualche sfasamento, soprattutto con gli squilli dislocati ai lati (per inevitabili ritardi di attacco).
Ottima la prova del coro diretto da Vito Lombardi, furbamente sparpagliato ma non troppo dal regista e assai compatto nella sua massa sonora, e buono anche il coro di voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani. Splendide le luci di Paolo Mazzon, ma meno efficaci le proiezioni di Metalli, che stonavano non poco con l’unità stilistica della regia, con scritte da videogioco anni ’80 di dubbio gusto. Meglio i profili dei palazzi, efficaci nel rafforzare l’atmosfera spagnola. Belle le coreografie di Lojodice, anch’esse ben inserite nell’unità visiva e sonora.
Alessandro Tommasi
(18 luglio 2019)
La locandina
Direttore | Daniel Oren |
Regia, Scene e Costumi | Hugo De Ana |
Coreografia | Leda Lojodice |
Luci | Paolo Mazzon |
Projection design | Sergio Metalli |
Personaggi e Interpreti | |
Carmen | Géraldine Chauvet |
Micaela | Lana Kos |
Frasquita | Karen Gardeazabal |
Mercédès | Clarissa Leonardi |
Don José | Martin Muehle/ Mikheil Sheshaberidze |
Escamillo | Alberto Gazale |
Dancairo | Gianfranco Montresor |
Remendado | Roberto Covatta |
Zuniga | Gianluca Breda |
Moralès | Italo Proferisce |
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona | |
Coro di Voci bianche A.LI.VE. | |
Maestro del Coro | Vito Lombardi |
Maestro del coro voci biance | Paolo Facincani |
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