Verona: Verklärter Gatti

Secondo un aneddoto molto citato, dopo avere ascoltato le prove di un Quartetto per archi di Arnold Schoenberg, suo giovane e stimato collega a Vienna, Gustav Mahler avrebbe chiesto agli esecutori se gli suonavano un accordo perfetto di Do maggiore, perché si sentiva frastornato dalle armonie quanto meno divaganti e conflittuali contenute in quella composizione.

Si era allora dopo la metà del primo decennio del Novecento ed era ormai chiaro chi era il “modernista” più radicale fra questi due musicisti. Solo pochi anni prima, però, le posizioni non erano poi così definite. E anzi, per qualche aspetto si potrebbero considerare rovesciate, con Schoenberg nel ruolo di chi dichiara la propria ascendenza wagneriana senza troppi infingimenti, peraltro elaborandola anche alla luce del pensiero creativo dell’ultimo Brahms (una sintesi che nessuno faceva alla fine dell’Ottocento, essendo molto diffuse le “guerre di religione musicale” fra opposti schieramenti). E con Mahler già lanciato in straordinarie rivisitazioni dei mondi espressivi del Lied e della Sinfonia, fra poesia popolare e suggestioni letterarie più complesse, debitrici del simbolismo, a definire un linguaggio musicale che, come ha detto in via definitiva il filosofo Theodor Wiesengrund Adorno, “anticipa terribilmente con mezzi passati ciò che deve venire”.

Il programma con cui la Sächsische Staatskapelle Dresden è tornata al Settembre dell’Accademia a 16 anni dalla prima volta, con il suo nuovo direttore stabile Daniele Gatti sul podio, ha offerto la dimostrazione di questo sia pure temporaneo rovesciamento delle prerogative stilistiche. L’innovatore è parso a tutti gli effetti Mahler, del quale è stata proposta in chiusura di serata la Sinfonia più nota, la Prima, caposaldo da oltre un secolo del repertorio delle grandi orchestre e non per caso il brano più frequente nei programmi di oltre trent’anni del festival veronese. L’autore più legato al passato è sembrato Schoenberg, del quale la compagine tedesca ha eseguito Verklärte Nacht (Notte trasfigurata) ovviamente nella versione per orchestra d’archi, dall’originale per Sestetto, rifinita dallo stesso autore nel 1943. A sua volta una delle pochissime composizioni del futuro inventore della dodecafonia rimaste nel repertorio.

Il merito di questo “chiarimento” è tutto dell’interpretazione di Gatti e nella performance dell’orchestra di Dresda. Il direttore milanese ha infatti proposto della Sinfonia mahleriana una lettura antiretorica, ideale per rifuggire delle allusioni contenutistiche e a programma che Mahler aveva accarezzato all’inizio della lunga elaborazione di questa composizione (un lavoro durato un decennio, fra il 1888 e il 1897 della versione definitiva), ma che poi – non a caso – aveva radicalmente rigettato. Non è stata solo una questione di carattere del suono e di qualità delle sfumature dinamiche (l’uno e le altre occasione di sbalorditivo virtuosismo strumentale da parte della vastissima compagine orchestrale), ma anche e soprattutto di una riflessione espressiva collegata al fraseggio, delineato con una naturalezza che si vorrebbe definire fisiologica ma che in realtà discende da una comprensione musicale meditata e sofisticata, spesso rivelatoria.

Così, il naturalismo del primo movimento è emerso in tutta la sua portata coloristica quasi astratta, anti-paesaggistica a meno di non parlare di paesaggi interiori del timbro; l’incrocio fra colto e popolare che innerva il secondo e il terzo movimento è diventato la cifra di uno psicologismo inquietante, che ha ricondotto a una dimensione tutta personale le seduzioni melodiche e ritmiche seminate a piene mani da Mahler; soprattutto, il tempestoso Finale è stato depurato da ogni logica di epigonismo tardo-romantico, riconfigurato in chiave soggettiva ma lontana dall’eroismo di maniera, distillato in un’analisi che per essere minuziosa non ha perso nulla della poesia trasognata e insieme furente che lo anima, sottolineata dal meccanismo dei ritorni tematici dei movimenti precedenti.

Questa lettura sofisticata e fascinosa è parsa organica, se così si può dire, alle caratteristiche dell’orchestra di Dresda: stupefacente e ammaliante per ricchezza e sensibilità musicale la sua prova, con colori quasi solistici nel dialogo fra le sezioni e compattezza nella linea espressiva come nella qualità strumentale, si trattasse di dare sostanza di suono al quasi inudibile o delineare senza mai esagerare il “pieno” orchestrale più estroverso.

Nella prima parte, i 60 archi della Sächsische Staatskapelle Dresden hanno realizzato con minuziosa precisione e seducente qualità di suono l’idea di Gatti a proposito di Verklärte Nacht: una composizione legata alla tradizione romantica, nella quale però la densità del suono e soprattutto la “profondità” dell’armonia introducono qualche elemento che lascia intendere quale sarà la strada lungo la quale ben presto Schoenberg si avvierà. Musica di passaggio per il passaggio del secolo, verrebbe da dire (l’anno della sua realizzazione è il 1899), ma sontuosa e capace di non perdere nella versione per grande orchestra almeno qualcuno dei particolari che nell’originale per Sestetto sono molto più evidenti. E basti pensare ai frequenti diradamenti che nella trascrizione schoenberghiana portano allo scoperto parti quasi solistiche, come allusioni al suo pensiero originale. Tutti dettagli che Gatti ha evidenziato con attenzione e le prime parti dell’orchestra tedesca hanno cesellato da par loro. Sempre attenti, direttore ed esecutori, a rifuggire da una logica esecutiva banalmente “descrittiva”, concentrati a rendere il simbolico “racconto poetico” che sta alla base della partitura in chiave di astratta ma sontuosa ricchezza strumentale.

Al Filarmonico di Verona, pubblico avvinto e tripudio di applausi e chiamate a proscenio per Daniele Gatti. Alla fine, il direttore milanese è stato quasi costretto a concedere il sospirato bis, e l’ha fatto – nel giorno in cui, 150 anni fa, era nato Arnold Schoenberg – rendendo omaggio a Giacomo Puccini, scomparso un secolo fa. Si è ascoltato un Intermezzo dalla Manon Lescaut nel quale l’emozione e il dramma dei personaggi stavano dentro al suono, oltre le dolcezze melodiche, delineate peraltro con eleganza di nobile misura. E si è capito perché Puccini è degno di stare a fianco di Schoenberg e di Mahler.

Cesare Galla
(13 settembre 2024)

La locandina

Direttore Daniele Gatti
Sächsische Staatskapelle Dresden
Programma:
Arnold Schömberg
Verklärte Nacht
Gustav Mahler
Sinfonia n. 1 in Re maggiore “Titano”
Bis:
Giacomo Puccini
Manon Lescaut- Intermezzo

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