Vicenza: alle Settimane Musicali il Bach-rock di Brunello

“La mia banda suona Bach / e tutto il resto all’occorrenza / sappiamo bene che da noi fare tutto è un’esigenza”. Basta prendere a prestito l’immortale attacco di uno dei maggiori successi di Ivano Fossati, modificarlo solo leggermente, ed ecco pronto il manifesto della “serata Antiruggine” con la quale Mario Brunello ha aperto domenica la trentesima edizione delle Settimane Musicali al Teatro Olimpico. È stata una maratona di parole e musica, una serata lunga come se assistessimo all’Oro del Reno. A conti fatti, nelle due ore e un quarto senza intervallo (quelli sono ancora vietati), le parole hanno tenuto testa, quantitativamente, alla musica, consistente in quattro delle sei Sonate per violino e cembalo, della durata di una settantina di minuti scarsi.  Il divino Sebastian, ovunque si trovi, non si sarà dispiaciuto, in virtù della predilezione che sicuramente riserva al violoncellista di Castelfranco Veneto, suo squisito interprete. E della magnifica qualità strumentale e musicale dei suoi compagni di avventura, il gambista-violoncellista Francesco Galligioni e il tastierista Roberto Loreggian al cembalo e all’organo portativo. Né ha mostrato segni di stanchezza il pubblico, che sedeva ben distanziato sulle gradinate dell’Olimpico: attento, concentrato, pronto a ridere quando l’entertainer concedeva qualche battuta, prodigo di applausi dopo ogni esecuzione e alla fine, tanto da meritarsi un paio di bis.

L’esperienza ora passata agli archivi del capannone di Antiruggine in quel di Castelfranco è stata raccontata da Brunello in un’intervista al “Giornale di Vicenza”, uscita il giorno del concerto, come un innovativo – meglio: rivoluzionario – tentativo di introdurre la parità fra chi ascolta e chi fa musica, fatta passare innanzitutto attraverso l’abolizione di luoghi per loro natura “di demarcazione” come il palcoscenico. È intuitivo che in luogo come l’Olimpico, questo è un vasto programma destinato a infrangersi contro lo spazio creato da Palladio e Scamozzi in un’epoca nella quale l’interazione fra artista e spettatore non era contemplata.

Di fatto, la comunicazione è stata a senso unico anche se secondo una tipologia non proprio abituale ma in costante sviluppo, quella appunto del “concerto parlato”, nuova frontiera un po’ ingannevole della democrazia musicale.

E in effetti, di cose da spiegare Brunello ne aveva parecchie. La prima riguardava, naturalmente, la sua scelta di eseguire un gruppo di Sonate scritte per violino e clavicembalo utilizzando il violoncello piccolo, da lui definito “violino tenore”. Operazione arbitraria – nel senso primo del termine: dipendente dalla volontà del singolo – ma non implausibile e neppure abusiva. La duttilità dei compositori barocchi rispetto alla scelta dello strumentale e la fungibilità di quest’ultimo in relazione alle occasioni esecutive, sono storicamente ben note. Ed è altrettanto noto che in qualche occasione Bach ha fatto uso specifico del violoncello piccolo, “equiparandolo” al violino anche nella collocazione sulle partiture. Resta il fatto che le Sonate sono sicuramente scritte per violino e cembalo, né Brunello ha fatto cenno all’esistenza di esecuzioni come la sua, documentate all’epoca di Bach o in quella moderna. Dunque, una “prima assoluta”, barocca nello spirito, molto attuale nella filosofia.

Anche il resto dello strumentale era gestito secondo questa linea: non il solo cembalo e non la semplice aggiunta di una viola da gamba per delineare meglio la scrittura del basso in una partitura che comprende sempre tre parti, di cui due principali, affidati al violino e alla mano destra sulla tastiera. Ma un continuo “interplay” fra le parti del basso, suddivise anche con il violoncello barocco e con l’organo, consistente in un raddoppio di varia configurazione timbrica fino a dare talvolta la sensazione che queste Sonate, più che a tre, siano a quattro parti.

Questa configurazione ha avuto l’effetto di esaltare e irrobustire la scrittura polifonica e spesso apertamente fugata delle Sonate, creando una pluralità paritetica di voci che volutamente evitava di sottolineare la primazia solistica del violino, ovvero del violoncello piccolo. Così, l’effetto finiva per risultare in qualche momento improvvisatorio, jazzistico e addirittura rockettaro (per tornare all’inizio, ma i due termini sono stati evocati da Brunello) anche se è stato precisato che Bach aveva scritto tutto, comprese quelle che in qualche contesto potevano sembrare improvvisazioni degli esecutori. Ma certo dava spettacolo vedere Galligioni passare dalla viola da gamba al violoncello piccolo, e cercare (e trovare egregiamente, bisogna dire) sonorità liutistiche con la prima – grazie al pizzicato. E soprattutto vedere e sentire l’effetto creato da Loreggian nel suonare con una mano il cembalo e con l’altra l’organo, anche incrociando le braccia per toccare il secondo (posto alla sua destra) con la sinistra e il primo con la destra.

Poi, Brunello non ha rinunciato a imbrogliare le carte, almeno sul piano dell’esegesi bachiana e della sua applicazione al fatto interpretativo. Nei suoi lunghi discorsi sulle caratteristiche di ogni singolo movimento di ogni singola Sonata (sono state eseguite le n. 2, 3, 4 e 6) l’unica citazione specifica di uno studioso ha riguardato il venerabile Albert Schweitzer, il medico-organista e filantropo (Nobel per la pace nel 1952) la cui monografia bachiana risale al 1905 e si caratterizza fin dal sottotitolo, che parla del “musicista poeta”. Una pietra miliare negli studi musicologici, beninteso, ancora molto lontana dagli sviluppi che hanno condotto nella seconda metà del Novecento alla “prassi esecutiva” e alla cosiddetta “consapevolezza storica” nelle esecuzioni. Ma Brunello, questo è noto, è musicista a tutto tondo dalle aperture a volte provocatorie, sempre stimolanti. E la sua capacità di far “passare” il suo pensiero musicale è indubbia, così come l’eloquenza del timbro e la ricchezza “parlante” dell’arcata.

Le Sonate per violino e cembalo, eseguite al violoncello piccolo, possono anche risultare spiazzanti a partire da colori spesso insoliti, ma hanno il carattere di una complessa originalità “filologica”, in costante confronto con il cuore antico del fare musica. Così, vince la prodigiosa soggettività del Capellmeister e non c’è dottrina musicologica che tenga. Scritta trecento anni fa, questa musica continua a parlarci come se fosse stata scritta ieri.

Cesare Galla
(30 maggio 2021)

La locandina

Violoncello Mario Brunello
Viola da gamba e violoncello Francesco Galligioni
Cembalo e organo Roberto Loreggian
Programma:
Johann Sebastian Bach
Sonate per violino e clavicembalo
n. 2 la maggiore BWV 1015
n. 3 mi maggiore BWV 1016
n. 4 in do minore BWV 1017
n. 6 n sol maggiore BWV 1019

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