Vicenza: Canino-Ballista, l’inossidabile duo
Il Classicismo “mediterraneo” di Boccherini e quello viennese di Mozart erano messi a confronto nel più recente concerto della Società del Quartetto, che ha visto di scena al teatro Comunale di Vicenza l’Orchestra da camera di Brescia e il duo pianistico Canino-Ballista. Da una parte, la Sinfonia in Re minore detta “La casa del diavolo” del lucchese che si accasò in Spagna (1776), dall’altro quel prodigioso frutto del genio concertante di Amadé che è il Concerto per due pianoforti e orchestra K. 365. È questa una gemma forse non riconosciuta come merita: in realtà, rappresenta a tutti gli effetti il portale d’ingresso nella prodigiosa stagione dei Concerti pianistici scritti ed eseguiti a Vienna dopo l’addio a Salisburgo. Ed è sintomatico che questa pagina sia stata concepita nella città natale di Mozart verso il 1779 ma poi portata alla luce in pubblica esecuzione nella capitale dell’impero, nel novembre del 1781.
La tonalità di Re minore era in quello scorcio di fine Settecento d’obbligo per tutti gli autori che volessero scrivere musica “infernale”. Boccherini è il punto mediano di una linea che ha il suo primo punto fermo in Gluck, al cui balletto Don Juan, infatti, il musicista italiano fa esplicito riferimento nella sua partitura e il culmine forse insuperato poco più di un decennio dopo nel Don Giovanni mozartiano. Di certo, il musicista italiano si astiene dallo strumentale tipico di queste composizioni “a tema”, nel quale i “soprannaturali” tromboni, ad esempio, erano d’obbligo. La sua Sinfonia è scritta per il tipico organico napoletano – coppia di oboi e corni oltre agli archi, un solo fagotto come rinforzo del basso – e il suo fascino consiste tutto nella vivacità della scrittura e nella fantasia dell’invenzione dentro a una forma che per certi aspetti potrebbe essere quella di una “sinfonia avanti l’opera” in tre movimenti.
Quanto al Concerto mozartiano, è stato eseguito con lo strumentale ridotto della primigenia stesura salisburghese, ovvero con oboi, corni e fagotti oltre agli archi. Due anno dopo, Mozart avrebbe arricchito e “caricato” l’orchestra come si conveniva all’occasione mondana e metropolitana, aggiungendo trombe, timpani e perfino una coppia di clarinetti, che restano sporadica eccezione negli organici dell’intero corpus in quest’ambito. Per certi aspetti, l’essenzialità dei mezzi orchestrali e l’assenza della brillantezza ulteriore garantita dagli strumenti aggiuntivi hanno l’effetto di focalizzare in maniera ancora più nitida l’attenzione sulla straordinarietà della scrittura per i due pianoforti: un confronto intimo e dialettico, nel quale temi e sviluppi passano da una tastiera all’altra con una fluidità e una ricchezza di sfumature davvero unica. I colori s’inseguono e si mescolano in una tavolozza nella quale le frasi si fondono e si confrontano incessantemente, realizzando una vera e propria conversazione nella quale l’autonomia di ciascuno strumento diventa fondamentale per l’insieme e quest’ultimo a sua volta viene esaltato dalle differenze delle parti.
Inutile girarci intorno: in un genere tutt’altro che frequentato, anche proprio per la sua complessità strutturale e strumentale, questo è un capolavoro al pari del quale stanno solo le partiture concertanti bachiane, che peraltro sembrano appartenere a un’altra era anche se sono precedenti solo di pochi decenni.
Affidato al duo pianistico per antonomasia, quello formato da Bruno Canino e Antonio Ballista, giovanotti ormai oltre gli ottant’anni e con alle spalle un sessantennio di frequentazione della medesima tastiera o delle due tastiere affiancate, il Concerto K. 365 si è stagliato all’ascolto nella rassicurante, elegante, musicalissima linea stilistica e interpretativa di questi raffinati musicisti. Magari il tempo, nei due movimenti svelti, non aveva la spumeggiante vivacità di altre esecuzioni di riferimento, ma la sapienza del tocco di ciascuno, la sicura articolazione espressiva del fraseggio, la gamma timbrica ricca di sfumature sia all’interno di ogni parte che nel rapporto fra l’una e l’altra, hanno garantito un’interpretazione a tutti gli effetti magistrale. Esaltata in quello che i jazzisti chiamerebbero “interplay”: un dialogo che all’interno del dettato mozartiano ha trovato spunti e soluzioni multiformi, sorprendenti eppure mai fuori dal contesto stilistico, eloquenti e accattivanti come di rado capita di ascoltare.
Salutati da grandi applausi e più volte richiamati a proscenio dopo l’esecuzione, Bruno Canino e Antonio Ballista si sono ben presto seduti fianco a fianco davanti alla stessa tastiera e hanno regalato come fuori programma il “Molto presto” della Sonata per pianoforte a quattro mani K. 358, cesellata in leggerezza con superbo controllo del suono.
Quanto all’Orchestra da camera di Brescia, che aveva come primo violino concertatore Filippo Lama, dopo avere staccato una fremente e nitida esecuzione di Boccherini, pregevolmente ricca di sfumature, ha affrontato nella seconda parte della serata la tenera ed elegante Sinfonia n. 5 di Schubert, piccolo gioiello di equilibrio e brillantezza. Esecuzione di notevole rilievo strumentale, analiticamente condotta con fraseggio mobilissimo e colori suadenti, forse un po’ frenata dal punto di vista espressivo.
Vivi i consensi anche alla fine, da parte di un teatro non propriamente affollato, e inedito bis con la trascrizione per archi di un Minuetto mozartiano originariamente per pianoforte, caratteristico per ombreggiature armoniche decisamente insolite.
La locandina
Bruno Canino, Antonio Ballista | duo pianistico |
Filippo Lama | violino concertatore |
Orchestra da Camera di Brescia | |
Programma | |
Luigi Boccherini | |
Sinfonia n. 4 in Re min. op. 12 G 506 “La casa del diavolo” | |
Wolfgang Amadeus Mozart | |
Concerto in Mi bem. magg. per due pianoforti e orchestra | |
Franz Schubert | |
Sinfonia n. 5 in Si bem. magg. |
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