Chiusura di stagione della OTO nel segno di Prokof’ev al Teatro Comunale di Vicenza
Un insolito tutto-Prokof’ev ha concluso la stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico. Fermamente voluto da Enrico Bronzi, direttore e violoncello solista (che ha pubblicamente ringraziato la formazione giovanile vicentina per la disponibilità), il programma allineava composizioni tutt’altro che frequenti nelle sale da concerto, probabilmente mai eseguite prima a Vicenza. Pagine che hanno illuminato tre diverse prospettive di un autore versatile ed eclettico come il russo, nella cui produzione non è facile trovare un genere che sia stato ignorato.
Si partiva dalla musica da film – di cui Prokof’ev è stato illustre rappresentante a fianco di alcuni dei grandi maestri russi del Novecento (Eisenstein su tutti) – con la suite sinfonica dalla colonna sonora per Il luogotenente Kijé. Il taglio della composizione è quello satirico e grottesco di una vicenda che mette alla berlina l’ottusa burocrazia zarista e militare (il personaggio del titolo è in realtà inesistente: “creato” per errore da un decreto, nessuno osa svelare la semplice verità e dunque vive un’esistenza “virtuale” paradossalmente concreta). Il risultato è l’accattivante combinazione fra un bel ventaglio di temi russi di facile presa e un’armonia incline ad accentuazioni “dissacranti”. Il tutto, in un contesto coloristico di rutilante ricchezza, vero e proprio catalogo della strumentazione orchestrale, con fiati, ottoni e percussioni in evidenza. Un quarantennio più tardi, uno dei pezzi più brillanti, Troika, con i sonagli che scandiscono la corsa di una slitta, diventerà musica da film e satira “al quadrato”, grazie all’utilizzo che ne farà Woody Allen nel suo Amore e guerra (1975).
Per certi aspetti, una suite si può considerare anche il ribollente affresco della Sinfonia n. 3, che chiudeva la serata. Il punto di partenza è questa volta un’opera, L’angelo di fuoco, composta da Prokof’ev negli anni Venti ma destinata a essere rappresentata per la prima volta solo dopo la sua morte, nel 1955. Ambientato nella Germania faustiana del ‘500, questo dramma musicale è intriso di esoterismo e visioni demoniache; la conclusione è un processo per stregoneria e il rogo della protagonista. La sinfonia utilizza vari temi di alcune delle scene principali e adotta una ricchezza timbrica non minore di quella che caratterizza il Luogotentente Kijé per delineare un contesto sonoro che va in direzione opposta: visionario, di straordinaria tensione, spesso di travolgente potenza fonica, capace di ricondurre l’espressionismo della partitura teatrale a una dimensione simbolistica che pone Prokof’ev sulla linea di Skrjabin.
Nell’uno e nell’altro caso, serve un’orchestra che alla compattezza e alla duttilità affianchi grandi qualità quasi solistiche in numerose parti: ottavino, tromba, contrabbasso, celesta nel Luogotenente Kijé; fagotto, violoncelli, gli archi acuti in generale per la suggestione di certi effetti stranianti nella Sinfonia n. 3. Qualità che l’Orchestra del Teatro Olimpico ha dimostrato (una volta di più, considerando l’arco dell’intera stagione) essere nel suo bagaglio musicale. Il risultato è stato una serata di “suono russo” della migliore specie: nitido, capace di passare dalla morbidezza all’asprezza nel giro della frase, come spesso accade nella fremente invenzione di Prokof’ev, stilisticamente impeccabile sul piano del colore, dotato dell’indispensabile precisione vista la frequente “esposizione” delle parti soliste. Una bella prova d’insieme nutrita dalla qualità dei singoli, insomma, che è stata sottolineata dalla lettura di Bronzi, molto naturale e coinvolgente nei tempi, tesa a delineare sfumature anche quando la dinamica punta verso il forte o il fortissimo, nella Sinfonia improntata a una febbrile e inquietante forza comunicativa.
Fra le due pagine sinfoniche la serata comprendeva una pagina postuma come il Concertino per violoncello e orchestra op. 132, del quale Prokof’ev aveva lasciato solo sparse annotazioni per lo strumento solista accompagnato dal pianoforte. Fu Mstislav Rostropovich, storico interprete della musica russa, a completare l’opera in versione cameristica (prima esecuzione a Mosca nel 1956) e del resto a battezzare anche la prima esecuzione del concertino, che si ebbe nel 1960 dopo che la strumentazione fu realizzata da Dimitri Kabalevskij. Bronzi l’ha risolta con energia pari al dettaglio coloristico sia sul piano solistico (caratterizzato dall’energia sempre accattivante della cavata) che su quello orchestrale, raccogliendo grandi applausi che l’hanno convinto a un fuori programma: i popolari Recuerdos de la Alhambra, originariamente scritti per chitarra da Francisco Tarrega ma da oltre un secolo luogo di innumerevoli virtuosismi nelle trascrizioni per tutti gli strumenti a corde e non solo.
Alla fine, dopo la Sinfonia n. 3, vivissimi consensi da un teatro Comunale al gran completo e ulteriore fuori programma orchestrale: un frammento dello Schiaccianoci di Cajkovskij, la festosa danza russa chiamata Trépak per un congedo che ha scacciato le oscure inquietudini di Prokof’ev.
Cesare Galla
(7 aprile 2018)
La locandina
Orchestra del Teatro Olimpico | |
Direttore e violoncello solista | Enrico Bronzi |
Programma: | |
Sergej Prokof’ev | |
Suite da “Lieutenant Kijé” op. 60 | |
Concertino per violoncello e orchestra op. 132 | |
Sinfonia n. 3 in Do min. op. 44 |
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