Vicenza: Dindo e le meditazioni sul violoncello

Le parole chiave si leggevano al centro del programma: Andante cantabile. Nell’indicazione di tempo e di espressione della Romanza per violoncello e archi di Richard Strauss, una composizione dei vent’anni in cui il musicista di Monaco si dimostra già sulla strada della futura grandezza, c’era anche il senso del concerto che Enrico Dindo ha tenuto al Comunale di Vicenza per il Quartetto, insieme ai suoi Solisti di Pavia. La serata era infatti costruita come un itinerario denso e coinvolgente nel mondo sonoro del violoncello, inteso specialmente (ma non soltanto) come “voce” capace di una sottigliezza comunicativa di assoluto fascino poetico, per lo più dentro a coordinate espressive meditabonde e introspettive esaltate da tempi in larga parte moderati o lenti.

Il tutto – fra l’altro – con apprezzabile originalità nelle proposte, perché autori come Bruch, Weinberg, Fuchs, per non parlare di Olivier Messiaen, non sono certo fra i più frequenti nelle locandine. E con un apporto significativo da parte del solista/direttore anche in qualità di “arrangiatore”, ovvero trascrittore, dal momento che tre composizioni sulle cinque previste sono state proposte in versioni non originali, ma appunto accomodate all’organico per insieme d’archi e violoncello solista. Una scelta capace di illuminare quanto il “fare musica” anche nei secoli più vicini a noi fosse libero e istintivamente “adattivo”, ben lontano della museale sacralità degli originali, che è un’eredità esecutiva tardoromantica lungamente e inutilmente subita dal mondo concertistico.

Cronologicamente, il programma si dipanava fra secondo Ottocento e prima metà del Novecento. C’erano in apertura gli echi della tradizione musicale ebraica nella Mitteleuropa rielaborati da Max Bruch nel suo “Kol Nidrei”, che nella versione con accompagnamento per soli archi (l’originale prevede una formazione strumentale completa) è apparsa più intima e compresa nella sua logica di preghiera in tempo di Adagio, ma non troppo.

È seguito il Concertino di Mieczysław Weinberg, che solo raramente nei suoi quattro movimenti lascia trasparire qualche estroversa brillantezza e si conclude con un cupo Adagio. Del resto, a Mosca nel 1948, quando Stalin imponeva attraverso Zdanov un nuovo giro di vite alla libertà creativa dei musicisti, l’allegria contagiosa non era moneta corrente come lo era la cupa riflessione che permessa di sé questa pagina di grande interesse.

L’eleganza di Strauss, nella Romanza mai sussiegosa, è stata condotta da Enrico Dindo, con la sua riduzione, fuori dall’ambito cameristico originale (la pagina era nata per violoncello e pianoforte) ma anche fuori dalle forse troppo ampie dimensioni timbriche della versione con orchestra: nella versione con ensemble d’archi la ricchezza cantabile della parte solista emerge limpida da un dialogo “fra pari” di sofisticata efficacia.

E pure in versione “arrangiata” è stata proposta la quinta parte del “Quatuor pour la fin du temps” di Olivier Messiaen, composizione scritta nel 1941 in un campo di concentramento nazista. Il pezzo, intitolato “Louange à l’éternité de Jesus” e prescritto in tempo “Infinitamente lento ed estatico”, nell’originale è per violoncello e pianoforte. Nella versione di Dindo, la parte per la tastiera si distribuisce con emozionante adesione espressiva fra gli archi. E il brano nulla perde della sua natura contemplativa, di sgomentante essenzialità timbrica e melodica.

Solo la conclusione, all’insegna della Serenata per archi op. 14 di Robert Fuchs, pubblicata nel 1876, ha toccato un’estroversa leggerezza, all’insegna di una scrittura sapidamente viennese, vivace e in alcuni momenti trascinante, risolta al meglio da un ensemble rifinitissimo ed equilibrato come i Solisti di Pavia, che lavorano sul colore e il calore del suono con musicalità sicura e profonda.

Del resto, questo è sempre l’approccio di Enrico Dindo, che fa effettivamente “cantare” il suo violoncello con una ricchezza espressiva capace di restituisce con vibrante adesione i diversi linguaggi musicali proposti in questo concerto. Ma che soprattutto svela nell’evidenza dell’ascolto come il più autentico virtuosismo non consista nella pur necessaria agilità, del resto indefettibile, ma nella totale, rivelatoria adesione al pensiero fatto suono dei compositori.

Alla fine, applausi vivissimi da parte di un pubblico non particolarmente numeroso. Come bis, il patetico Notturno per violoncello e archi di Cajkovskij (anche questo un adattamento) e nuovamente il trascinante Scherzo dalla Serenata di Fuchs.

Cesare Galla
(19 febbraio 2024)

La locandina

Direttore e solista Enrico Dindo
I Solisti di Pavia
Programma:
Max Bruch
Kol Nidrei per cello e archi (riduz. E. Dindo)
Mieczyslaw Weinberg
Concertino per cello e archi Op. 43bis
Richard Strauss
Romanza per cello e archi (riduz. E. Dindo)
Olivier Messiaen
Louange a l’eternite de Jesus per cello e archi (orch. E. Dindo)
Robert Fuchs
Serenata per archi n. 2 Op. 14

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