Vicenza: i dialoghi della Messa in Do minore
Finora iscritta – pur in una terra di consolidata tradizione corale – nella categoria “capolavori riconosciuti, rispettosamente tenuti ai margini del repertorio”, l’incompiuta Messa in Do minore di Mozart negli ultimi due mesi ha riguadagnato a Vicenza un po’ del tempo perduto. A settembre il festival “Vicenza in Lirica” l’ha posta ad aprire la sua decima edizione nel completamento a cura di Luca Guglielmi (la recensione), mentre ieri l’Orchestra del Teatro Olimpico, diretta da Alexander Lonquich l’ha eseguita nella versione abituale, quella cioè mancante di parte del Credo e dell’intero Agnus Dei, per l’inaugurazione della propria stagione al Teatro Comunale. Rinnovando fra l’altro l’interessante collaborazione con la Filarmonica Settenovecento di Rovereto, con la quale già era stata proposta una Nona beethoveniana, l’anno scorso di questi giorni (qui la recensione). Allora come in questa occasione, il coro era la Schola San Rocco diretta da Francesco Erle.
Il fascino di questa composizione, che risale al 1783, consiste nella straordinaria efficacia con la quale Mozart maneggia la grande tradizione polifonica tedesca (evidente nelle grandiose pagine corali ma anche in certi passaggi dell’accompagnamento degli archi), rinnovandola all’insegna di uno spirito concertante molto laico e molto “teatrale”, di espressività squisitamente “umana”, che si manifesta sia nelle parti vocali (le due principali voci soliste sono entrambe soprani) sia nel rapporto con l’orchestra e soprattutto con gli strumenti a fiato. Così, da un lato la scrittura contrappuntistica fa quasi sfoggio di ascetico eppure denso virtuosismo, spesso disegnando parti per doppio coro, dall’altro le parti solistiche per voce propongono una coloratura funzionale al dialogo con i legni. E basti pensare alla vera e propria cadenza che conclude la pagina più celebre, l’Aria “Et incarnatus est” nel Credo, nella quale flauto, oboe e fagotto assumono un ruolo protagonistico e paritetico rispetto alla voce, in certo modo preannunciando la stagione dei grandi Concerti per pianoforte, che si aprirà di lì a poco a Vienna.
Da raffinato interprete mozartiano – alla tastiera e sul podio – Lonquich mette in evidenza nella sua interpretazione proprio questa ricchezza dialogica, a sua volta riflessa nella multiformità espressiva. Il fraseggio è denso di particolari rivelatori grazie a tempi spesso riflessivi, ma capaci delle giuste, trascinanti accentuazioni di tempo. I passaggi a pieno organico sono comunque misurati con impeccabile eleganza di stile, secondo piani dinamici mai plateali, comunque animati da pensosa introspezione. Una bella prospettiva sull’umanissimo senso del sacro coltivato da Mozart, del resto intrinseco a una composizione nata come tributo votivo per la ritrovata salute della moglie Constanze, ammalata dopo la nascita del primo figlio.
Tutto questo è stato realizzato con nitida qualità di suono e pregevolissimo smalto da parte dei legni e degli ottoni della OTO, nonostante l’acustica del Teatro Comunale di Vicenza non sia certo delle più favorevoli, specialmente nelle grandi pagine corali-strumentali. Una problematicità che ha messo a non facile prova la duttilità e l’efficacia della Schola San Rocco, schiacciata sul fondo della scena, quasi a ridosso della parete lignea della camera acustica (oltre che impegnata in ripetute e non facili “evoluzioni” per configurare adeguatamente lo schieramento nelle parti per doppio coro). Al netto di qualche trascurabile imperfezione negli attacchi, le sezioni maschili sono sembrate risentire maggiormente di una situazione nella quale mantenere l’equilibrio fra le parti dev’essere stato particolarmente difficile. Alla fine, si può dire che l’obiettivo sia stato raggiunto, grazie alla musicalità e alla consapevolezza stilistica di questa ormai storica formazione corale, che ha nel repertorio settecentesco uno dei suoi punti di forza. Impeccabile la precisione nelle dense pagine contrappuntistiche, intrigante la scelta di gamme dinamiche mai troppo estroverse, sempre misurate sul senso della parola cantata.
Le due principali voci soliste sono parse assai bene inserite nella linea interpretativa impostata da Lonquich, fra eleganza concertante, rigore del fraseggio e dolcezza della coloratura. Ilaria Vanacore, timbro accattivante specialmente nella zona centrale, è stata protagonista di un “Et incarnatus est” diviso fra commovente tenerezza ed esultanza belcantistica, con appropriato controllo in ogni zona dell’ampia tessitura; una tenuta del resto dimostrata anche nel drammatico “Christe” (nel Kyrie), che scende singolarmente in basso. Precisa anche Giuseppina Perna, per quanto forse non altrettanto agile nel “Laudamus te”. Ben inseriti nelle loro brevi parti il tenore Yuxiang Liu e il basso Volodimir Moroziv.
Aperta dall’Ouverture “Leonora I” di Beethoven, una delle varie scritte per l’opera Fidelio (nella quale, come nella Messa mozartiana, il soggetto spirituale generale è l’amore coniugale), la serata si è conclusa con un vivissimo successo per tutti i suoi protagonisti, più volte richiamati a proscenio da un pubblico molto vicino al tutto esaurito.
Cesare Galla
(14 novembre 2022)
La locandina
Direttore | Alexander Lonquich |
Soprano | Ilaria Vanacore |
Soprano | Giuseppina Perna |
Tenore | Yuxiang Liu |
Basso | Volodymyr Moroziv |
Orchestra del Teatro Olimpico | |
Orchestra Filarmonica Settenovecento | |
Schola San Rocco | |
Maestro del Coro | Francesco Erle |
Programma: | |
Ludwig van Beethoven | |
Ouverture Leonora n. 1 in Do maggiore op. 138 | |
Wolfgang Amadeus Mozart | |
Messa in Do minore per soli, coro e orchestra K 427 |
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