Vicenza: il Novecento in due concerti

La rassegna concertistica “Pomeriggio fra le Muse”, che da oltre vent’anni si tiene – a cura dell’Ensemble Musagète – nel salone al piano nobile del Palazzo Leoni Montanari di Vicenza, una delle sedi museali di Banca Intesa, ha proposto domenica scorsa un programma tutto novecentesco. L’appuntamento – intitolato “Visibilità” – era incastonato dentro a un calendario fitto di incursioni nel camerismo del Classicismo e del Romanticismo, ben articolato grazie alle geometrie strumentali variabili consentite al gruppo di musicisti che hanno qui la loro sede concertistica principale. Ma non costituiva evento eccezionale: fin dalla fondazione (che risale al 2001) il Musagète è sempre stato attento alla modernità e anche alla contemporaneità, potendo fra l’altro vantare specifiche commissioni e prime esecuzioni assolute di notevole interesse.

Erano di scena il quartetto d’archi costituito da Massimiliano Tieppo e Tiziano Guarato violini, Michele Sguotti viola, Simone Tieppo violoncello, il clarinettista Luigi Marasca e il pianista Gabriele Dal Santo: in formazioni differenziate hanno delineato un itinerario di ampia campitura cronologica da un lato all’altro del XX secolo. Il brano più “antico” era quello che ha chiuso il concerto, l’Ouverture su temi ebraici op. 34 di Sergej Prokof’ev, destinata all’organico strumentale protagonista del concerto al completo e composta a New York nel 1919.

Il più recente era la Fantasia per clarinetto solo di Jorge Widmann, scritta nel 1993 e riveduta nel 2011. Il clarinetto ha avuto un ruolo di rilievo in tutto il pomeriggio musicale, sia per i brani citati (quello di Widmann per certi aspetti può essere letto come una sorta di “rivisitazione” della Sequenza per lo stesso strumento di Luciano Berio, ma il suo titolo “all’antica” indica chiaramente come già sia diversa la prospettiva espressiva), sia per il suo ruolo fondamentale nei “Contrasti” di Béla Bartók, in cui lo strumento a fiato dialoga con violino e pianoforte. Questo capolavoro della musica da camera del Novecento (risale al 1938, fu scritto a New York su commissione di Benny Goodman) non cessa di sedurre gli ascoltatori con la forza di un’invenzione nella quale le suggestioni folcloriche sono elaborate e trasformate da un linguaggio di straordinaria complessità armonica e da una mutevolezza ritmica con pochi eguali, tale da incidere in maniera decisiva anche sulla dimensione timbrica dei tre strumenti.

Un momento di “disimpegno” è stato fornito dai Cinque Pezzi per due violini e pianoforte di Šostakovič, trascrizioni cameristiche curate nel 1970 dal compositore armeno Levon Atovmyan (1901-1973) a partire da brani del compositore sovietico appartenenti a musiche per orchestra originariamente scritte per la scena o come colonne sonore cinematografiche. Riferimenti al Barocco e all’Ottocento (si tratta in sostanza di una Suite che dopo il Preludio propone una Gavotta, un’Elegia, un Valzer e una Polka), eleganza e una certa ironia animano queste pagine.

Sicuramente una prima per Vicenza, infine, è stata l’esecuzione del secondo Quartetto per archi di Philip Glass, una pagina del 1983 nella quale il nume tutelare del minimalismo americano si confronta con un racconto filosofico di Samuel Beckett, intitolato Company. La concentrazione del discorso (la durata complessiva è ampiamente sotto i 10 minuti) non ne impedisce l’enigmatica profondità. Del resto, il testo letterario di riferimento è un’ardua riflessione sulla coscienza di sé. E tuttavia, la sottigliezza della gamma timbrica dispiegata nel gioco dei quattro archi da Glass spiega il fascino “in purezza” della sua concezione creativa, al di là della quasi immobilità del discorso, fra le immancabili reiterazioni motiviche e la lentezza processionale delle mutazioni armoniche.

Il quartetto del Musagète ha saputo dare veste sonora rarefatta ma fortemente coinvolgente a questa pagina, mentre il clarinettista Luigi Marasca ha affermato la sua musicalità sorvegliata e tecnicamente impeccabile passando da Bartók a Widmann e a Prokof’ev con virtuosistica precisione, dominando l’intera gamma coloristica delineata da questi tre compositori nella scrittura per il suo strumento e offrendo nell’insieme una prova di notevole forza comunicativa. Misurato ed efficace, in considerazione dell’acustica un po’ ridondante del Salone di Apollo, l’apporto al pianoforte di Gabriele Dal Santo. Pubblico al limite della capienza, attento e prodigo di applausi.

Due sere prima, gli ascoltatori occupavano tutti i posti anche nella chiesa di San Vincenzo in piazza dei Signori, sempre a Vicenza, per un’altra sofisticata e inedita proposta novecentesca inserita negli “Eventi al Monte” a cura della Fondazione Monte di Pietà: l’esecuzione dei 24 Preludi scritti a metà degli Anni Venti per il suo strumento dal pianista francese Robert Casadesus (1899-1972). Un musicista che ha fatto la storia del concertismo a livello planetario dagli Anni Trenta fino a quando morì, le cui musiche (un vasto catalogo non solo pianistico) sono lungi dall’essere note e frequentate come la sua squisita e ancor oggi ammirevole discografia.

I Preludi sono musica raffinata, immersa nel clima parigino dell’epoca, sintomaticamente dedicata a Maurice Ravel: vi aleggia lo spirito di Satie, del Gruppi dei Sei, specie Milhaud e Poulenc, ma non vi è aliena la consapevolezza di quello che era accaduto nel pianoforte russo all’inizio del secolo, dal lato di Skrjabin più che da quello di Rachmaninov. Ad eseguirla è arrivato Mauro Cecchin, che ha già realizzato due CD per l’etichetta Da Vinci Classics con le composizioni di Casadesus. Peccato che la sua esecuzione – pure apparsa di stile coerente e ben delineato – sia stata “soffocata” dalle troppe parole che il giovane pianista ha ritenuto di dover impiegare per “spiegare” ogni tre Preludi – in maniera francamente approssimativa e a tratti ingenuamente pretestuosa o descrittiva – quello che andava eseguendo. Se il concerto voleva essere un talk-show musicale, il bersaglio ci è parso mancato: occorrevano altra misura, maggiore capacità di fornire dettagli rivelatori oltre qualche annotazione tecnica fine a sé stessa, diversa capacità di coinvolgimento. A farne le spese è stato il senso generale dell’elegante, sofisticata composizione di Casadesus (40 minuti di musica in tutto), un affresco composito da gustare nell’insieme oltre che nei dettagli. Per ascoltare il quale non c’era alcun bisogno delle “parole chiave” escogitate da Cecchin per ogni singolo Preludio.

Cesare Galla
(12 e 10 gennaio 2025)

La locandina

Ensemble Musagète
Programma:
Béla Bartok
Contrasti per violino, clarinetto e pianoforte
Sergej Prokofiev
Ouverture su temi ebraici per clarinetto, pianoforte e quartetto d’archi op. 34
Jorge Widmann
Fantasia per clarinetto solo
Dmitrij Šostakovič
5 pezzi per 2 vl e pf
Philip Glass
String Quartet No. 2 “Company”
_____________________
Pianoforte Mauro Cecchin
Programma:
Robert Casadesus
24 Préludes, op. 5
Toccata, op. 40

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