Vicenza: Iván Fischer e la BFO portano Ariadne all’Olimpico

Ineluttabilmente tagliato in due dalle disposizioni governative per il contenimento dell’epidemia, il Vicenza Opera Festival ha assunto un ruolo doppiamente simbolico. Perché ha resistito e si è adattato a questi tempi burrascosi in nome della grande musica e del progetto che tre anni fa Iván Fischer ha iniziato a disegnare su misura per il Teatro Olimpico insieme alla sua Budapest Festival Orchestra e alla Società del Quartetto. E perché nel far questo si è assunto lo scomodo eppure emblematico compito di chi “chiude la porta” dei teatri: il concerto di ieri sera della BFO è stato uno degli ultimissimi in Italia prima dello stop al pubblico imposto per decreto. E tuttavia, ventiquattr’ore dopo, gli stessi interpreti si sono comunque ugualmente riuniti sotto la bacchetta di Fischer – ovviamente, questa volta in un Olimpico deserto – per eseguire il secondo concerto previsto dall’esiguo programma dell’edizione 2020 del festival. L’evento è stato diffuso in diretta streaming sulla rete – artificioso eppure spesso indispensabile succedaneo tecnologico – facendo passare chiaro e distinto il messaggio di chi nel nome della musica non si ferma. Rispettando vincoli e disposizioni e non esitando a sottoporsi a un tour de force di controlli medici.

Del resto, un alto valore simbolico – e civile – possiede anche la ventura artistica in questi mesi del teatro coperto più antico del mondo, progettato da Andrea Palladio verso il 1580, pochi mesi dopo un’epidemia di peste che aveva falciato quasi diecimila vicentini, un terzo della popolazione di allora. Archiviati i lunghi mesi del lockdown primaverile, l’Olimpico ha riaperto i battenti esattamente nel primo giorno possibile, il 15 giugno, con una serata intitolata Jazz Is Back che ha riunito per iniziativa di Riccardo Brazzale un bel gruppo di protagonisti italiani della musica afro-americana (https://www.lesalonmusical.it/vicenza-lolimpico-distanziato-riapre-con-il-jazz/). E la stagione estiva e di primo autunno è andata avanti quasi come se fosse tornata la normalità: opera barocca, concerti, il Ciclo degli spettacoli classici. Ogni volta, al massimo per duecento spettatori o poco più (la metà della capienza), tutti distanziati, controllati all’ingresso per misurare la febbre, con la mascherina. Quasi ogni volta a teatro “pieno”. Uno sforzo organizzativo corale e appassionante, ripensandoci adesso che le porte si sono di nuovo chiuse. Specialmente se si tiene conto dei problemi economici di tutti quelli che promuovono e fanno spettacolo.

Sta di fatto che l’Olimpico (grazie a tutte le donne e tutti gli uomini che lo rendono vivo) ha dato una prova straordinaria di cosa significhi la consapevolezza della propria storia e delle proprie origini: primo a riaprire, ultimo a chiudere. Per dire, il teatro vicentino del nostro tempo, il Comunale, non vede spettacolo sui suoi due palcoscenici dalla fine di febbraio, eccezion fatta per un monologo in trasferta dal Ciclo dei Classici, tenuto nel foyer. E proprio ora che si apprestava a riaccendere le luci, è costretto a spegnerle di nuovo, almeno per un altro mese. E poi si vedrà.

Nella serata di domenica, dedicata alla memoria di Paolo Marzotto, mecenate della musica e delle arti scomparso nello scorso maggio (la moglie Caroline è fra i primi concreti sostenitori del Vicenza Opera Festival), Fischer e la BFO hanno proposto un programma che ha avuto l’effetto di far rimpiangere quello che ancora non è stato possibile realizzare (peraltro, quest’anno non era previsto a prescindere dall’epidemia), cioè un’edizione scenica dell’Ariadne auf Naxos di Richard Strauss (1916).

Il teatro musicale che ragiona su se stesso e riflette sul mito classico, offrendo nello stesso tempo un’affascinante prospettiva sugli antidoti alla sua crisi nel secolo della modernità, il Novecento: difficile trovare tema più intrigante e “allusivo” rispetto alla scena olimpica. Lo si è colto già solo ascoltando la parte conclusiva dell’opera, quella in cui viene rappresentato il dramma di cui a lungo si è discusso nel Prologo. Il quale rimane peraltro la parte più originale a convincente della partitura straussiana, nell’interazione con la geniale invenzione drammaturgica di Hugo von Hofmannsthal. Nella scena finale scoppia l’amore fra Arianna abbandonata e il giovane dio Bacco, sfuggito alle grinfie della maga Circe. Strauss forse cede un po’ alla sua proclamata intenzione di scrivere un’opera “non wagneriana”, per la rotondità sovrabbondante dello strumentale e la tensione delle parti vocali, ma realizza comunque il suo programma a proposito della intenzione “giocosa, sentimentale, umana” di questo teatro musicale. Disegnando quindi un classicismo limpido, elegante, malinconico nella sua natura di lucido sguardo retrospettivo. Qualcosa che risulta implicitamente in armonia con il Teatro Olimpico.

Esecuzione magistrale sul piano strumentale, con la BFO che dimostra come suonare con la mascherina (eccezion fatta per i fiati, ovviamente) si possa, se si ha la qualità strumentale e la sensibilità musicale e stilistica di questa compagine. La cui sintonia con il direttore Fischer va oltre il fatto che anch’egli, per colpa della mascherina, non può dialogare con i suoi se non con gli occhi e il gesto, ma non con la mimica facciale.

Maiuscola nella sua umbratile e multiforme dimensione sinfonica, l’interpretazione si è valsa di equilibrati e precisi interpreti vocali. Ariadne era Camilla Nylund, voce di interessante tinta drammatica; Bacchus è stato disegnato con efficace brillantezza espressiva dal tenore Albert Joseph Glückert mentre di ottima omogeneità e suggestione coloristica è parso il gruppo delle tre voci femminili di appoggio, Samantha Gaul (Najade), Mirella Hagen (Echo) e Olivia Vermeulen (Dryade).

In apertura, il sontuoso scenario sonoro dell’ultima Sinfonia londinese di Joseph Haydn, la numero 104, articolato fra l’umoristico (ultimo movimento), il brillante (Minuetto e primo movimento) e il patetico (Andante) è stato l’occasione per ammirare la compattezza e la duttile sensibilità stilistica della Budapest Festival Orchestra, guidata da Fischer sui sentieri di un’interpretazione votata a illuminare l’eleganza della forma e la ricchezza dei particolari timbrici.

Pubblico avvinto. Alla fine, ripetute chiamate e conclusiva standing ovation.

Cesare Galla
(25 ottobre 2020)

La locandina

Direttore Iván Fisher
Ariadne Camilla Nylund
Bacchus Albert Joseph Glückert
Najade Samantha Gaul
Echo Mirella Hagen
Dryade Olivia Vermeulen
Budapest Festival Orchestra
Programma:
Franz Joseph Haydn
Sinfonia No. 104 Re Maggiore
Richard Strauss
Ariadne  auf Naxos (estratti)

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