Vicenza: Jordi Savall, “Un diálogo de las ánimas” che abbraccia il Mediterraneo
Centinaia di persone in fuga da Sanremo e dai suoi stanchi riti, abbastanza per riempire quasi completamente il teatro Comunale di Vicenza nonostante l’imperversare del festivalone, hanno trovato rifugio per una sera nella musica delle origini.
Quella che quando la ascolti capisci da dove arriva tutta l’altra, antica e nuova, colta e popolare.
Ad officiare quest’affascinante liturgia musicale alternativa c’era Jordi Savall, che sempre più è difficile inquadrare in una definizione univoca. Perché questo ieratico interprete catalano è l’uomo “ovunque” di un’idea di musica alla quale anche i confini cronologici stanno stretti e quelli geografici sono davvero senza senso. Inutile poi menzionare questioni di genere o di stile, o di forma.
Savall è uno che va oltre e basta sfogliare la sua interminabile discografia per capire che il suo orizzonte è ampio abbastanza per arrivare a Mozart e Beethoven partendo dagli albori, dall’Anno Mille o poco dopo.
La serata proposta dalla Società del Quartetto aveva un titolo ammiccante a generiche tendenze spiritualiste (“Dialogo delle anime”). Molto più diretto il sottotitolo, che chiariva come il programma fosse composto di musiche arabo-andaluse, giudaiche e cristiane intorno al Mediterraneo.
Occasione unica, in effetti, per cogliere nell’immediatezza dell’ascolto quanto il concetto di “cultura occidentale” (con tutti i suoi addentellati culturali, religiosi e identitari) abbia limiti cronologici tanto evidenti quanto oggi trascurati: ancora nel XIII secolo, da una sponda all’altra del Mediterraneo, la convivenza e la sovrapposizione di civiltà era dal punto di vista dell’arte e in generale della creatività, ben lungi ancora dall’affermare una chiara e unica egemonia.
Riconoscerlo, significa anche rendersi conto di quanto la multiculturalità appartenga al nostro Dna, ben prima delle ideologie.
Uno degli elementi di maggior fascino del concerto di Savall, quindi, è consistito nel chiarire che la musica degli ultimi cinque secoli, classica e popolare, ha radici e conserva elementi che non sono né esclusivamente occidentali né esclusivamente cristiani. Insieme ai suoi due compagni di viaggio, il liutista marocchino Driss el Maloumi e il percussionista greco Dimitri Psonis, Savall ha fatto ascoltare brani non strettamente legati a un contesto religioso specifico, anzi il più delle volte non religiosi in senso stretto, ma evidente frutto di una concezione nella quale la creatività artistica assume una valenza spirituale nitida e coinvolgente.
Passando dall’Afghanistan all’Italia, dalla Persia alla Penisola Iberica, dall’Armenia alle regioni berbere, l’esperienza di ascolto ha reso evidente con immediatezza quanto di comune esista in una gamma espressiva peraltro sottilmente ma profondamente diversificata.
E ha messo in evidenza le qualità sonore “parlanti”, dalle mille suggestioni, di strumenti dalle origini antiche, talvolta remote, che in vari casi sono apparsi chiaramente come gli antenati di quelli che l’Occidente ha poi reso cardini della sua tradizione.
La ribeca e la viella di Savall, ad esempio, sono strumenti ad arco dalla storia importante e plurisecolare. Una storia che precede quella del violino e dei suoi “parenti”, ma che in essa confluirà con grande fluidità creativa.
L’organico strumentale era limitato dalla presenza di tre soli interpreti, ma grazie alla loro ecletticità e a quello che è parso una sorta di “libero rigore” nell’approccio esecutivo, il risultato si è rivelato comunque emozionante.
Oltre agli archi seducenti nelle loro mille sfumature di Savall, oltre all’oud (il liuto arabo) magistralmente pizzicato da El Maloumi (applausi a scena aperta per la sua affascinante “Danza dell’anima” di origine berbera), decisivo è risultato il virtuosismo comunicativo del percussionista Dimitri Psonis. Un musicista capace di esaltare le cellule ritmiche delle pagine più tipicamente connotate da multiformi ritmi danzanti (fra esse, due trascinanti Saltarelli, uno di origine italica e l’altro proveniente dai codici contenenti musiche attribuite al re castigliano Alfonso X “il Saggio”).
Ma anche uno straordinario evocatore di atmosfere misteriose e magiche, laddove il dato melodico assume un ruolo guida, con la rivelazione dell’arcaico santur, strumento persiano a corde su tavola, percosse con due bacchette.
Accoglienze di grande calore, ripetute chiamate e prima dei bis finali una breve, semplice eppure dotta lezione di organologia da parte di Jordi Savall.
Per capire che quegli arcaici ed esotici strumenti ci appartengono tanto quanto quelli che oggi ci sono familiari.
Cesare Galla
(6 febbraio 2019)
La locandina
Jordi Savall | lira dea arco e rebab |
Driss el Maloumi | oud |
Dmitri Psonis | santur, chitarra moresca e percussioni |
Programma | |
Alba (Castellón / Berbero) | |
Erotókritos – Danza bizantina | |
Nastaran (Naghma instr.) – Tradizionale (Afghanistan) | |
A la una yo naci – Tradizionale sefardita | |
Saltarello (CSM 77-119) – Alfonso X il Saggio | |
El Rey Nimrod – Tradizionale sefardita | |
La Quarte Estampie Royal – Le Manuscrit du Roi (Parigi, XIII secolo) | |
Azat astvatsn & Ter kedzo (Ode alla libertà) – Tradizionale (Armenia) | |
Der makām-ı Uzzäl Sakîl “Turna” Semâ’î – Mss. D. Cantemir (324) | |
Rotundellus (CSM 105) – Alfonso X il Saggio | |
Menk kadj tohmi – Tradizionale (Armenia) | |
Danza dell’anima – Anonimo (Berbero) | |
Der makām-ı Hüseynī Sakīl-i Ağa Rıżā – Mss. D. Cantemir (89) | |
Lamento di Tristano – Trecento mss. (Italia, XIII secolo) | |
Chahamezrab – Anonimo (Persia) | |
Alagyeaz & Khnki tsar – Tradizionale (Armenia) | |
Saltarello – Trecento mss. (Italia, XIII secolo) |
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