Vicenza: la sublime “musica di consumo” di Bach sulle ali di Zefiro
In pochi casi una “esecuzione integrale” – cioè un concerto in cui si presentano tutti i brani dedicati da un autore a un particolare genere o a una certa forma – risulta rivelatoria come per le Suite orchestrali di Sebastian Bach.
Non si tratta di una questione filologica o storica, è altamente improbabile che all’epoca della composizione tutte quattro le Suite siamo mai state eseguite insieme. Si tratta dell’occasione (peraltro, niente affatto frequente) di avere una prospettiva inclusiva e per così dire “panoramica” sulla duttilità e la multiformità creativa di un musicista che ancora oggi troppo spesso si tende a considerare in maniera “settoriale”, per quanto allargata e ovviamente di altissimo livello.
Il supremo “Cantor”, titano della musica sacra; il filosofo che speculava musicalmente (o il contrario, se preferite: il musicista che faceva della musica una speculazione filosofica); il sommo organista e cembalista; il creatore di monumenti perenni al violino, al violoncello, alle tastiere, era anche un musicista alla moda.
Uno che non esitava a mettersi in gioco componendo musica di consumo. Anzi, uno che era capace di adattare le sua “musica di corte”, destinata a un uditorio costituito dalla nobiltà di Sassonia ansiosa di ascoltare l’ultimo grido della moda musicale proveniente dalla Francia, al ruolo di composizioni per un più ampio pubblico borghese, suonate nella sale di un caffè di Lipsia.
Le Suite per orchestra – quelle che sono arrivate fino a noi, perché certo ne deve avere scritte ben più di quattro – dipingono proprio questo ritratto di Bach: un musicista pratico che non dimentica certo la sua dottrina ma la commisura alle esigenze di chi lo ascolta ed è capace di “rigenerare” partiture nate per soddisfare il gusto francese del nobile committente originale, portandole al successo anche un quindicennio più tardi, in pubblici concerti negli anni Trenta del Settecento.
E l’esecuzione completa svela ciò che quelle parziali non possono fare che in minima parte, proprio grazie al confronto e alla giustapposizione.
Svela cioè la sublime abilità bachiana nel costruire mondi sonori, grazie a un inesauribile gioco i cui elementi non sono solo i molteplici ritmi di danza che si susseguono, intarsiati da tante pregevoli varianti, ma anche e soprattutto i colori strumentali, i contrasti di tempo, i dialoghi fra le parti, l’inventiva melodica che informa di sé ogni pagina.
Il tutto secondo coordinate sonore che possono passare dallo sfarzo della terza e della quarta Suite, nella quale agli archi si aggiungono trombe e timpani a confrontarsi con oboi e fagotto, fino alla dimensione cameristica della seconda Suite, dialogo virtuoso e concertante oltre che danzante tra un flauto traverso solista e un ristretto gruppo di due violini, viola e basso continuo.
Inaugurazione di lusso per il valore della proposta, dunque, quella della stagione del Quartetto di Vicenza nella sala grande del teatro Comunale. Ma anche inaugurazione di alto livello grazie all’Ensemble Zefiro guidato da Alfredo Bernardini, che taglia quest’anno il traguardo del trentennale essendosi ritagliato da tempo una posizione di preminenza nell’ affollato panorama delle esecuzioni “storicamente informate”.
Nell’esecuzione delle Suite da parte di Zefiro l’aspetto più intrigante è stato forse la nitida e accurata definizione delle componenti strumentali dentro al gioco formale che Bach continuamente elabora e modifica.
A volte disposti secondo la logica che sovrintende al Concerto Grosso, distinguendo il gruppo di concertino dall’insieme (come nella Quarta), altre in formazione “doppia” che si fronteggia secondo tradizione veneta policorale, sempre Bernardini e i suoi hanno saputo chiarire la ricchezza delle linee di una scrittura che si fa più densa o più sottile a seconda delle esigenze ritmiche e melodiche, mutando il numero delle parti da una danza all’altra. In questo incessante “movimento”, la qualità disinvolta e precisa degli archi (prime parti Huw Daniel e Rossella Croce) ha sempre saputo trovare l’equilibrio giusto sia al proprio interno che nel dialogo con i fiati.
E questi ultimi, gli oboi dello stesso Bernardini, di Paolo Grazzi ed Emiliano Rodolfi, il fagotto virtuoso di Alberto Grazzi, le trombe naturali di bel colore e quasi sempre precise di Gabriele Cassone, Jonathan Pia e Simone Amelli hanno dato vita ora a “concertini” di suadente eleganza, ora a vere e proprie trascinanti brillantezze solistiche.
Il tutto con un fraseggio molto articolato, scelte dinamiche sfumate e cangianti dentro alla complessiva pienezza di colore.
Naturalmente, un elemento fondamentale è quello dei tempi. E basterà citare il “motus in fine velocior” della Terza Suite, che dopo la meditabonda Aria per soli archi (in seconda posizione) ha visto i tempi delle successive danze (Gavotta, Bourrée, Giga) progressivamente accelerare con un effetto davvero coinvolgente. Discorso a parte per il flautista Marcello Gatti, che ha risolto ogni asperità tecnica della Seconda Suite con sovrana naturalezza, sciorinando precisione e raffinatezza nell’aderire alle sfumature timbriche “dettate” da Bach in virtù delle diverse tessiture della parte.
Pubblico partecipe e prodigo di applausi e alla fine bis della Réjouissance che conclude la Quarta Suite, nell’occasione con organico rinforzato anche dal flautista.
Cesare Galla
(5 novembre 2019)
La locandina
Zefiro | |
Direttore e oboe | Alfredo Bernardini |
Programma: | |
Johann Sebastian Bach | Ouverture-suite n. 4 in Re Maggiore BWV 1069 |
Ouverture-suite n. 1 in Do maggiore BWV 1066 | |
Ouverture-suite n. 2 in Si minore BWV 1067 | |
Ouverture-suite n. 3 in Re maggiore BWV 1068 |
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