Vicenza: L’intimizzazione estrema dello Schwanengesang
Bisogna ascoltare la “fosca Passacaglia” che costituisce il basso ostinato di Der Doppelgänger (copyright Mario Bortolotto nell’indispensabile – anche mezzo secolo dopo – Introduzione al Lied romantico), per capire quanto l’ultimo Schubert sia un oscuro universo nel quale leggerezza e candore sono ormai diventati antimateria. Bisogna farsi sconcertare dalla linea di canto spezzata, trasognata e disperata (verrebbe da dire: trasumanata) di questo straordinario capolavoro, melodia che quasi rinuncia a se stessa dentro ai versi raggelanti di Heinrich Heine (uno sdoppiamento psichico fra incubo e disperazione sentimentale), per immergersi in una delle “rappresentazioni” musicali più inquietanti della frantumazione dell’Io. E per capire come la forma del Lied sia stata portata da Schubert ai confini della tradizione, oltre il rassicurante schema strofico, verso nuovi orizzonti espressivi. Qualcosa che ben giustifica l’idea di Bortolotto, secondo il quale l’immenso corpus liederistico schubertiano ha avuto, rispetto alla musica tedesca dell’Ottocento, un ruolo non diverso, per influenza e correlazioni creative, da quello avuto dall’epos omerico nella cultura classica.
È accaduto al teatro Comunale di Vicenza, al termine del concerto con cui il baritono Matthias Goerne ha offerto la sua magistrale ricognizione di Schwanengesang l’ultimo e il più atipico fra i grandi cicli liederistici di Schubert. L’appuntamento era anche la conclusione del progetto più colto e raffinato fra quelli (e non sono pochi) ideati e realizzati dalla Società del Quartetto: in due anni – sempre con l’arte di Goerne a fare da guida – si è passati da Winterreise (1827) a Die schöne Müllerin (1824), per ritornare avanti nel tempo e atterrare infine nella landa desolata delle ultime parole pronunciate in questo campo dal compositore, tre mesi prima della fine (agosto 1828).
Proprio l’atipicità della raccolta – pubblicata postuma nel maggio 1829 e priva del coeso contesto narrativo delle precedenti – ha consentito a Matthias Goerne di impaginare l’esecuzione in modo tale che Der Doppelgänger ne costituisse la conclusione reale, oltre che ideale. E di aggiungere fra i brani su versi di Rellstab, come talvolta avviene anche in ambito discografico, un Lied fuori dal ciclo e di qualche mese precedente, intitolato Herbst (Autunno). Solo alla fine, come fuori programma, il baritono tedesco ha invece proposto Die Taubenpost (Il piccione viaggiatore, poesia di Johann G. Seidl), che l’editore viennese aggiunse nella sua pubblicazione probabilmente anche per giustificare il senso del titolo: si tratta infatti dell’ultimo Lied composto da Schubert, nell’ottobre 1828. Una pagina di rassegnata eleganza, che tuttavia ben poco ha a che fare con la temperatura psicologica, vieppiù febbrile, che si sviluppa nei sette Lieder su versi di Ludwig Rellstab (l’ammiratore di Beethoven che coniò il titolo Chiaro di luna per la Sonata in Do diesis minore) e soprattutto nei sei su versi di Heine contenuti nel manoscritto originale. Capolavori che costituiscono il corrispondente in ambito vocale-strumentale della temperie espressiva esplorata nelle tre ultime Sonate per pianoforte, composte pochi giorni dopo.
Goerne ha condotto il pubblico del Comunale lungo un percorso interpretativo sofisticato, in grado di rendere evidente sul piano della tecnica vocale e della sensibilità espressiva, la progressiva immersione in una dimensione psicologica inquieta e inquietante. Così, i Lieder da Rellstab sono stati spesso resi a voce piena, con bel timbro brunito, secondo un fraseggio mobile e incisivo, mentre quelli da Heine hanno visto la tinta vocale cambiare ed estenuarsi, spesso grazie a un raffinato falsetto: diventare il palpitante mezzo espressivo di un percorso senza ritorno dentro all’alterazione psicologica, alla disperazione autentica.
Il mondo intimo destinato alla dissoluzione di Schwanengesang si è manifestato, nell’ora scarsa che è durato questo concerto memorabile, con forza musicale di febbrile intensità e con una partecipazione emotiva assoluta, delineata in ogni parola, in ogni mutazione dinamica, in ogni sottigliezza di fraseggio. Ne è stato parte misurata, animata dalla profonda semplicità dello stile schubertiano, anche il pianista Alexander Schmalcz, efficace compagno di viaggio di Goerne capace di trovare sempre la sintonia coloristica in grado di rendere l’accompagnamento un elemento sostanziale e stilisticamente impeccabile.
Cesare Galla
(Vicenza, 16 aprile 2018)
La locandina
Matthias Goerne | Baritono |
Alexander Schmalcz | Pianoforte |
Programma | |
Franz Schubert | |
Schwanengesang D. 957 |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!