Vicenza: Lonquich , la OTO e il fare la musica insieme

Oltre i significati extra musicali che lo stesso autore attribuiva a questa partitura – nei suoi appunti si trovano frasi come “Completa rassegnazione di fronte al destino”, “Dubbi e rimpianti”, “Affidarsi interamente alla fede” – la Quinta Sinfonia di Cajkovskij (1888) è uno scintillante monumento di musica assoluta, nel senso etimologico del termine. Cioè, musica svincolata da ogni legame narrativo, capace di esprimere pienamente la forza dell’invenzione del compositore russo, la sua fedeltà/libertà rispetto alle forme ereditate dalla tradizione, soprattutto la scioltezza geniale di una scrittura “rivestita” di una straordinaria sapienza strumentale, che fa diventare il colore un elemento decisivo, allo stesso tempo di magnetica attrattiva “naturale” e di raffinata elaborazione espressiva.

Assumeva dunque un significato particolare la scelta da parte di Alexander Lonquich di chiudere al Comunale di Vicenza la stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico – la formazione giovanile di cui è il direttore musicale – proprio con questa composizione. Perché poche altre pagine del grande repertorio sinfonico mettono alla prova, come questa, il senso del fare musica in orchestra, sfidando ogni singolo componente ad affrontare una scrittura in cui prima o poi si trova “allo scoperto” e tutte le sezioni sono chiamate a disegnare virtuosismo e sottigliezza timbrica. Ma anche postulando una compattezza e ricchezza degli “insieme” che è condizione indispensabile per definire la temperatura espressiva di questa affascinante composizione.

Per parte sua, Lonquich ci ha messo – com’era giusto che fosse – una scelta interpretativa di essenzialità che si vorrebbe quasi definire classicistica (e si sa quanto Cajkovskij fosse devoto cultore del Classicismo) per l’asciuttezza, l’assenza di ogni eccesso di retorica (sempre in agguato, in certe letture anche celebri…), il rigore del fraseggio esaltato dalla sottigliezza dei piani dinamici. Assecondando in questo modo quella che durante questi mesi è parsa essere una caratteristica fondamentale della OTO nel lavoro dei suoi giovani componenti per ogni singolo concerto: eccellenza strumentale dei singoli, ascolto reciproco assai raffinato, brillantezza mai fine a sé stessa, omogeneità a prova di molte difficoltà esecutive. Il tutto con un senso dell’insieme che la presenza ai primi leggii degli archi dei supervisori delle sezioni arricchisce dell’esperienza e della solidità che non guastano mai.

Il risultato è stata una Quinta di Cajkovskij di fascinosa ricchezza coloristica ma anche di compatta forza espressiva, che non indulge mai più di quanto sia strettamente necessario alla seduzione delle rapinose invenzioni melodiche dell’autore russo, ma le colloca nella geometrica brillantezza della costruzione musicale nel suo insieme, si tratti delle tenebrose meditazioni di clarinetti e fagotti, delle perorazioni degli ottoni, delle volate con cui gli archi quasi giocano a scambiarsi le prerogative di tessitura, fra violini spinti al grave e violoncelli lanciati nel cantabile.

Il programma sicuramente originale della serata si era aperto con una composizione che cronologicamente dista meno di vent’anni dalla Quinta di Cajkovskij ma che disegna per molti aspetti un mondo nuovo del suono, e non solo per il fatto che si tratta di una composizione nata in America, opera di un musicista americano che, come pochi, ha interpretato la modernità. “The Unanswered Question” (La domanda senza risposta) di Charles Ives è per molti aspetti una sorta di manifesto di questo autore che nonostante sia riconosciuto come fondamentale stenta ad affermarsi nei programmi dei concerti. E con ogni probabilità mai prima era stato proposto a Vicenza.

In questa breve pagina, scritta nel 1906, si trovano allineati quasi alla rinfusa – ma sicuramente non senza precisi intenti costruttivi ben ponderati dal compositore – elementi musicali e sonori che nel seguito del secolo breve avrebbero conosciuto singolari e a volte decisivi sviluppi. Il che giustifica l’idea che Ives debba essere considerato per molti aspetti un visionario quanto solitario (alla sua epoca) precursore di molti aspetti della musica del secondo Novecento. Al di là del titolo e dei significati ad esso legati (un po’ come nella Sinfonia di Cajkovskij, ha sottolineato Lonquich rivolgendosi al pubblico) nella partitura si trovano “indizi”, o veri propri preannunci di tendenze come la spazializzazione del suono – gli esecutori sono distanziati e in larga parte neanche visibili a chi ascolta; come il trattamento quasi ipnotico di insistiti “tappeti di suono”, tipico del minimalismo e della musica “ambient”, agli onori della cronaca per il Leone d’Oro della Biennale attribuito a Brian Eno; come la violenza psicologica e percettiva di sovrapposizioni timbriche e soprattutto armoniche volte a scardinare l’ordine musicale costituito con la dissonanza eretta a sistema. La distinguibilità di queste suggestioni, sovrapposte e affiancate, messe in conflitto senza che ci sia mai una presa di posizione chiara da parte dell’autore, è uno degli elementi di fascino di questa pagina, che postula la “disintegrazione” dell’orchestra così come la conosciamo abitualmente, per indicare nuovi panorami celesti come in un visionario film di fantascienza.

Fra questi due estremi musicali – così vicini e così lontani – il quinto Concerto per violino e orchestra di Mozart. K. 219, al centro del programma, ha sicuramente offerto nella serata un’oasi di ben conosciuta eleganza e brillantezza, grazie anche alla cavata sensibile e precisa di Klaidi Sahatçi (violinista albanese che è oggi il konzertmeister della Tonhalle Orchester di Zurigo), alla sua impeccabile pertinenza stilistica, al ben misurato dialogo con la OTO. Un’oasi, ma anche un’occasione per gustare l’ampiezza del pensiero musicale del salisburghese. Basti al proposito citare la soluzione per il Finale, con un placido Minuetto bruscamente interrotto della pseudo-turcheria di quella che in realtà è una danza ungherese, una czarda. Una divagazione oltre la brillantezza virtuosistica a tutto favore del solista (maiuscolo qui Sahatçi), che per certi aspetti – usando un gioco di parole – impone la logica della mancanza di logica come valore estetico peculiare, ben oltre le consuetudini dell’epoca.

Pubblico discretamente numeroso e prodigo di applausi molto calorosi per Klaidi Sahatçi (che ha ringraziato con la Sarabanda dalla Partita n. 2 per violino solo di Bach) e alla fine per l’OTO, con ogni sezione giustamente chiamata da Lonquich a ricevere l’apprezzamento degli ascoltatori.

Cesare Galla
(3 aprile 2023)

La locandina

Direttore Alexander Lonquich
Violino Klaidi Sahatçi,
Orchestra del Teatro Olimpico
Programma:
Charles Ives
The Unanswered Question
Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto per violino e orchestra K 219
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Sinfonia n. 5

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