Vicenza: Octavia. Trepanation di Kourliandski e Yukhananov alle “Conversazioni 2017”
Octavia. Trepanation di Dmitri Kourliandski e Boris Yukhananov, in locandina “opera per solisti, coro ed elettronica”, appare alla vista come una vasta installazione sulla scena del teatro Olimpico, che utilizza anche lo spazio della platea, coperto, come prolungamento del palcoscenico. Persone e cose interagiscono dentro a una narrazione che ha come filo conduttore la tragedia falsamente attribuita a Seneca, intitolata alla prima moglie di Nerone, interpolata con alcuni frammenti di scritti di Trotskij su Lenin. Totalmente ricoperte le superfici calpestabili con una pellicola plasticata rosso sangue, i personaggi e il coro – venti guerrieri di terracotta senza testa – si muovono intorno ai monumentali frammenti di una testa scultorea di Lenin e davanti a un carro trainato da tre scheletri di centauri – metà uomini e metà cavalli. Tre ballerini in costume da soldati dell’Armata Rossa attraversano incessantemente la scena, marziali e grotteschi, “parcheggiando” qua e là i guerrieri, che molto faticano a muoversi autonomamente. Altre erano le soluzioni visive dello spettacolo originale, presentato allo Holland Festival pochi mesi fa. Le si possono vedere nella proiezione sul telo semitrasparente che scende dall’arco della porta regia, senza peraltro nascondere del tutto le prospettive di Scamozzi.
Nel filmato, tutto avviene davanti, sopra, dentro la monumentale testa del leader della Rivoluzione d’Ottobre, la cui fronte si alza e si abbassa con un clangore di meccanismi che l’elettronica sonora s’incarica di riprodurre. Così, il colpo di scena finale, l’emersione di un Buddha gonfiabile al posto del cervello di Lenin, è solo proiettato e perde molto d’impatto. Del resto, non poteva essere altrimenti dentro al delicato e tutelato scenario palladiano. E bisogna dare atto a Yukhananov, il direttore dello Stanislavsky Elektrotheatre di Mosca che firma la regia, e specialmente allo scenografo Stepan Lukyanov, di avere lavorato a fondo sull’Olimpico, senza pregiudizi e senza rigidità, disposti a ricucire, riplasmare, rileggere lo spettacolo originale. Per restare al linguaggio dell’arte, un’installazione senza dubbio “site specific”.
Detto questo, e dato anche atto della suggestione di alcuni effetti illuminotecnici ben combinati con i cromatismi dell’insieme, lo spettacolo di punta del festival Conversazioni 2017 (così si chiama ora il Ciclo di spettacoli classici) mantiene molto meno di quello che prometteva nelle “narrazioni” preliminari. Il discorso sul potere e sulla violenza adombrato nel parallelismo Nerone-Lenin (nato nel centenario della Rivoluzione d’Ottobre) riesce tutt’altro che chiaro oltre lo schema generico. Perché gli interventi di Trotskij che rievoca vari momenti del percorso rivoluzionario di Lenin sono inseriti a forza, semplicemente giustapposti ed elaborati semmai più sul piano visivo che non su quello del testo, che rimane comunque fondamentale. Ed è francamente incomprensibile la sostanziale simultaneità della morte di Lenin con quella di Seneca, il saggio istitutore costretto a suicidarsi dal feroce Nerone. Come se all’improvviso il parallelismo spostasse il suo asse, a “salvare” in qualche modo la figura del capo del bolscevismo: è proprio poco dopo che il filosofo ha attuato il suo nobile e tragico sacrificio che nel cervello “trapanato” del dittatore russo “spunta” Buddha, icona di pacifismo anti-violento.
Quanto alla musica, protagonista principale perché questa Octavia è a tutti gli effetti un’opera, il suo autore ne aveva ampiamente parlato in varie interviste con effetto molto più suggestivo di quello determinato dall’ascolto. La partitura di Kourliandski assegna ruoli diversi alla vocalità solistica, al coro e allo sfondo dei live electronics. Ma l’insieme non sfugge a una fissità probabilmente cercata dal compositore, che sarà anche un’interpretazione dell’irrisolta tragedia pseudo-senechiana ma non va oltre un taglio oratoriale che lascia agli aspetti visuali dello spettacolo ogni drammatizzazione e finisce per far calare il velo della monotonia su tutto l’insieme. Kourliandski mette insieme due mondi musicali normalmente molto distanti fra loro (lo sono anche cronologicamente), quello della seconda avanguardia con le sue asperità vocali, il suo stile antimelodico, la sua voluta antiteatralità, e quello di impronta per così dire minimalista, che emerge dall’ossessivo e ripetitivo tappeto sonoro creato dal coro (valorosi i cantori della Schola Poliphonica di Monte Berico, istruita da Silvia Fabbian). Il risultato sarà anche provocatorio, ma mostra la corda perché nell’assenza di cambi di registro (tempi, colori, articolazioni formali) manca una precisa direzione espressiva: dalla lunga scena iniziale di Seneca al suo duetto con Nerone, alla gran scena del fantasma di Agrippina fino al sottofinale con il monologo di Octavia, il velo di una programmatica uniformità si stende sulla drammaturgia (già di per sé quanto mai aleatoria) e finisce per soffocarla definitivamente, senza che i bagliori dell’elettronica (probabilmente la parte più interessante) riescano a cambiare il clima. Comunque eccellenti gli interpreti vocali, tutti chiamati a impervie evoluzioni timbriche e spesso a oltrepassare i limiti della loro tessitura. Erano Arina Zvereva (Agrippina), Sergeij Malinin (Nerone), Alexeij Kokhanov (Seneca), Vassilij Korystylev (Prefetto), tutti lungamente applauditi dal pubblico (folto) insieme a Yurij Duvanov, un Trotskij dalla intrigante “ars oratoria”.
Cesare Galla
La locandina
Ideazione | Boris Yukhananov e Sergej Adonjev |
da Ottavia attribuita a Lucio A. Seneca | |
Libretto | Boris Yukhananov e Dmitri Kourliandski |
Musica | Dmitri Kourliandski |
Regia | Boris Yukhananov |
Agrippina | Arina Zvereva |
Nerone | Sergeij Malinin |
Seneca | Sergeij Malinin |
Prefetto | Vassilij Korystylev |
Trotskij | Yurij Duvanov |
con la partecipazione della Schola Poliphonica Santuario di Monte Berico | |
Maestro del coro | Silvia Fabbian |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!