Scoperti (o riscoperti) di Schumann e Schubert al Teatro Comunale di Vicenza
Alexander Lonquich sta dimostrando di non essere solo un grande pianista e un talentuoso direttore d’orchestra, ma anche un accorto “fabbricante” di quei piccoli universi musicali che sono – dovrebbero essere – i programmi dei concerti. La stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico, la formazione giovanile vicentina di cui è il maestro stabile, è la “palestra” di questa sua vocazione, forse non nuova ma certo affinata in maniera sempre più puntigliosa e intrigante. In un gioco sapiente di rimandi, agganci, relazioni sotterranee.
Dopo l’inaugurazione dedicata all’ultimo Mozart, ecco allora una serata – la seconda della stagione della Oto, lunedì al Comunale di Vicenza – che si sarebbe potuto intitolare “Musica ritrovata”. Sia il Concerto per violino di Schumann, che occupava la prima parte, sia la grande Sinfonia in Do maggiore di Schubert, che si è distesa maestosamente nella seconda, hanno infatti in comune il destino di essere stati scoperti (o riscoperti) solo dopo la morte dei loro autori, a volte per una serie di circostanze romanzesche o – per chi vuole crederci – misteriose. Di più, in questo caso lo scopritore della Sinfonia schubertiana fu proprio Schumann, il quale trovò casualmente il manoscritto a casa del fratello del compositore e ne caldeggiò l’esecuzione, avvenuta al Gewandhaus di Lipsia nel 1839, undici anni dopo la morte dell’autore, sotto la bacchetta di Felix Mendelssohn.
Molto più tempo avrebbe dovuto attendere l’unico Concerto per violino di Schumann, composto negli ultimi mesi prima del definitivo tracollo mentale (1853) ed eseguito solo nel 1937 a Berlino, con grande sfarzo propagandistico da parte del regime nazista. L’esistenza di questa partitura non era un mistero, se non altro per le persone dell’entourage schumanniano e per il violinista Joseph Joachim, a cui era stata destinata, ma l’opera fu in qualche modo “bocciata” e quindi mai eseguita, forse perché ritenuta “colpevole” di essere sintomo delle precarie condizioni psichiche del suo autore. Dopo la morte di Joachim, che lo deteneva, l’autografo finì alla Biblioteca di Stato di Berlino e vi rimase a lungo prima che su di esso si riaccendesse l’interesse del mondo musicale, non senza addentellati esoterici a base di sedute spiritiche e asseriti diretti interventi dello spirito di Schumann perché si portasse alla conoscenza del mondo il suo Concerto.
A Vicenza, Lonquich e la Oto lo hanno proposto con Ilya Gringolts come solista. La prova del violinista russo è stata rilevante per forza appassionata, ricchezza e qualità di suono, anche brillantezza nell’insolita Polacca che costituisce il movimento conclusivo. Lonquich non ha nascosto – nella sua lettura – la “spigolosità” quasi antimelodica di sofferta interiorità che caratterizza vari passaggi della composizione schumanniana, specie nel primo movimento, e ha sottolineato la tinta scura della strumentazione e la tensione espressiva del fraseggio, con il risultato di mettere in bella evidenza la compattezza e l’equilibrio della Oto.
La “Grande” di Schubert ha confermato la felice disposizione della compagine giovanile, in un’esecuzione che si è anche valsa dell’apporto dello stesso Gringolts come primo violino di spalla di lusso. Se la drammaticità del Concerto schumanniano era stata risolta opportunamente in termini di intima e sofferta concentrazione, quella della Sinfonia di Schubert, distesa in un vasto affresco musicale di oltre un’ora (la “divina lunghezza” di cui parlò Schumann in un celebre articolo), è stata giocata nella ricchezza e nel dettaglio dello strumentale e nella vivacità del fraseggio. Una tinta fascinosa, indicata fin dal puntuale attacco affidato ai corni soli ed evidenziata poi nel gioco degli sviluppi, delle modulazioni armoniche, dei cambi di tempo, grazie a una Oto tirata a lucido: brillanti i legni (con una citazione per il primo oboe Andrea Centamore, cui lo stupendo Andante con moto regala un ruolo davvero protagonistico), incisivi e magnificamente stagliati i violini, pastosi e morbidi i violoncelli, misurati eppure sempre in evidenza gli altri ottoni. Con Lonquich sempre attento nel mettere in luce dettagli melodici e sottigliezze armoniche, come pure nel sottolineare la vivacità ritmica (specie negli ultimi due movimenti), il risultato è stato complessivamente di alto livello. Suono, stile, equilibrio e profondità analitica hanno dato vita a un’esecuzione rivelatrice di quella corrente sotterranea del sinfonismo tedesco che, creata da Schubert fuori dal “main stream” beethoveniano, avrebbe attraversato tutto l’Ottocento per riemergere nella grande esperienza creativa di Anto Bruckner.
Pubblico discretamente folto al Comunale di Vicenza e prodigo di applausi e chiamate sia per Ilya Gringolts dopo la prima parte che per Lonquich alla fine. Il violinista pietroburghese ha proposto un bis tutt’altro che abituale: il Capriccio n. 23 di Pietro Antonio Locatelli (1733), che reca il significativo titolo “Labirinto armonico” e propone un’impressionante sfida virtuosistica, risolta brillantemente sia sul piano del suono che su quello dell’agilità e della precisione.
Cesare Galla
(18 dicembre 2017)
La locandina
Orchestra del Teatro Olimpico | |
Direttore | Alexander Lonquich |
Violino | Ilya Gringolts |
Programma: | |
Robert Schumann | |
Concerto per violino e orchestra in Re min. | |
Franz Schubert | |
Sinfonia n. 9 in Do magg. “La grande” |
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