Vicenza: un programma di transizione per l’Omaggio a Palladio Festival 2018

La notizia è che l’anno prossimo, per la ventiduesima edizione del suo festival cameristico-sinfonico-sacro fra teatro Olimpico e basilica di San Felice, András Schiff proporrà tutti i Concerti per pianoforte di Beethoven. È una notizia, perché ormai da tempo Schiff a Vicenza centellina i suoi interventi come pianista e quest’anno poi, li ha ridotti praticamente al minimo: una Sonata schubertiana e un Quartetto di Brahms. E lo è perché questa integrale sarà un evento non solo artistico e interpretativo ma anche culturale in senso generale, protagonista uno dei maggiori interpreti beethoveniani a livello internazionale. Né ci stupirebbe che l’intrapresa fosse destinata alla registrazione discografica.

Intanto, la cronaca di quest’anno deve occuparsi di un programma che non sapremmo definire in altro modo che “di transizione”. Come se, superato il ventennale, il pianista ungherese si fosse concesso una pausa di riflessione, pur garantendo la continuità dell’appuntamento.

BACH. La centralità del sommo Cantor rimane una costante, ma certo il grande exploit del 2017, una notte con tutti i sei Concerti Brandeburghesi, non equivale alla scelta di quest’anno, quella di proporre tutte le Ouverture per orchestra, suddividendole una per ciascuna serata. L’anno scorso il pubblico aveva avuto la possibilità della “full immersion” in una raccolta che sta al cuore della storia della musica europea e ne è una delle vette. Quest’anno si è dovuto accontentare (si fa per dire) di assaggiare alcuni esempi – naturalmente straordinari – della musica “di consumo” alla maniera di Sebastian Bach, nata in parte per la corte di Cöthen e in parte per i concerti pubblici di Lipsia. Queste Ouverture sono infatti delle Suite di danze che pagano il tributo al gusto francese alla moda anche in Sassonia nella prima metà del Settecento. La stilizzazione nella quale Bach era maestro non impedisce in questi casi di constatare una certa “maniera”, pur riconoscendo l’eleganza sublime della mano e la vivacità eclettica dell’approccio, anche se i colori sono limitati agli archi e a selezionati strumenti a fiato (oboi, trombe, flauto traverso, mai tutti insieme). Quanto all’esecuzione degli strumentisti della Cappella Andrea Barca, si è rimasti ovviamente lontani dalla prassi esecutiva filologicamente più rigorosa, non fosse che per l’assenza di strumenti d’epoca (tranne le trombe) e per la nota autonomia di Schiff, che persegue – con risultati spesso affascinanti – una linea interpretativa sempre volta a cercare i punti di congiunzione fra pensiero e suono, oltre ogni rigidità ideologica. Questo non vuol dire che la resa di queste pagine bachiane sia apparsa sbilanciata verso una tradizione esecutiva novecentesca pre-filologica. Brillantezza di colori e di tempo sono stati la costante di esecuzioni nelle quali la consapevolezza stilistica è risultata vincente.

IL SACRO. La proposta più “da festival” dell’intera rassegna – come sempre possibile grazie alla Società del Quartetto – è stata quella della musica da chiesa, destinata ovviamente a San Felice. La fascinosa collana realizzata in passato con le grandi Messe di Haydn era stata interrotta l’anno scorso, quando nella basilica era peraltro risuonata una delle pagine sacre più note e affascinanti del grande repertorio, il Magnificat di Bach. Quest’anno, invece, si è andati sulla vera e propria rarità: la Missa Sacra di Robert Schumann è decisamente al di fuori del repertorio sinfonico-corale in Italia, tanto più nella versione che Schiff ha voluto, quella “preliminare”, nella quale tutto lo strumentale della versione definitiva (grande orchestra completa di tutti a fiati a coppie e di tre tromboni) è “sintetizzato” nel solo accompagnamento organistico. In sostanza, ciò che il pubblico internazionale di “Omaggio a Palladio” – sempre folto ed entusiastico – ha ascoltato è stato qualcosa di molto vicino a una versione “a cappella”, tale da mettere ancor più in evidenza le peculiarità della scrittura corale schumanniana. La caratteristica che più colpisce è la giustapposizione fra ampie campiture omofoniche, specie nel Gloria e nel Credo, e tessiture polifoniche più complesse, che finiscono per assumere una valenza espressiva di romantica drammaticità dentro alla narrazione. La tinta generale è scura, dolorosa (la tonalità di base è un insolito Do minore). La pagina più significativa è il vasto Sanctus, che non ha nulla dell’esultanza tipicamente attribuita a questo passo dell’Ordinario e che si distende come un vero e proprio Adagio e si arricchisce, in maniera certo singolare, anche con l’interpolazione di parte del testo del Mottetto “O Salutaris Hostia”.

In ogni caso, il fatto che Schiff avesse come sempre a disposizione la Schola San Rocco istruita da Francesco Erle ha garantito la rilevanza musicale della proposta. Il coro vicentino ha cantato benissimo, sapiente nel realizzare le sfumature timbriche necessarie per evitare la monotonia agli ampi passaggi omofonici, in cui ciascuna voce canta la stessa parte dell’altra, sia pure ad altezze diverse; lucido nel delineare con stringente efficacia i passaggi contrappuntistici e nel proporre la propria virtuosistica duttilità espressiva sia a livello dinamico che nel fraseggio. Dalle fila del coro provenivano anche le eleganti voci solistiche: il soprano Giovanna Damian, il tenore Davide Pellizzaro, il basso Fulvio Fonzi.

DA CAMERA. Più di sempre il festival ha quest’anno accentuato il carattere composito dei suoi programmi, che mettono insieme in quasi tutte le serate le espressioni cameristiche con quelle orchestrali se non proprio sinfoniche o con quelle sacre e corali. Così, la serata inaugurale ha visto una riformulazione delle “tre B” care al mondo musicale germanico. Dopo il Bach della prima Suite, infatti, si è passati al teso, drammatico Divertimento per archi di Bartók, che peraltro germanico non era pur essendo certamente uno dei grandi del Novecento musicale, prima della conclusione nel nome di Brahms e del suo secondo Quartetto per archi e pianoforte, op. 26. A San Felice, fra Bach e Schumann è spuntato il monumentale e divagante Quintetto per archi di Bruckner, pagina che non per caso resta ai margini del repertorio. Ma la grande novità è stata rappresentata dalla prima volta in assoluto di un compositore italiano nei programmi del festival. Alla terza serata, infatti, ecco apparire nientemeno che il nome di Verdi, con il suo Quartetto per archi. Probabilmente Schiff l’ha inserito come una specie di trailer per il Falstaff che verrà portato in scena, nel prossimo autunno all’Olimpico, dal suo amico Iván Fischer con l’Orchestra del Festival di Budapest. Un’iniziativa, ha scritto nel programma, che in qualche modo «è un completamento di “Omaggio a Palladio”». La straordinaria Fuga che chiude il Quartetto è infatti un chiarissimo annuncio proprio del clima espressivo (Scherzo è definito il movimento) e stilistico del Falstaff, ugualmente concluso da una Fuga in 14 parti fra voci e strumenti, le cui parole dicono “Tutto nel mondo è burla”. Il Quartetto è stato affrontato all’Olimpico dal Merel Quartet: equilibrato ma non abbastanza leggero e spumeggiante, anche per i tempi troppi compassati staccati nei due movimenti finali, né animato dall’ironia che accompagna la straordinaria energia compositiva verdiana. L’insieme aveva quasi una tinta brahmsiana, ma per quanto Brahms fosse un grande estimatore di Verdi, la scelta stilistica non è parsa la più adeguata.

CON ORCHESTRA. Prima gli archi, poi i fiati, poi la grande orchestra sinfonica di secondo Ottocento secondo il misurato stile di Brahms. Il percorso strumentale nella musica d’insieme fuori da Bach era l’elemento più accattivante del festival. Al centro della prima serata, il Divertimento di Bartók ha acceso i riflettori sulla scuola e sull’esperta qualità degli archi della Cappella Andrea Barca, capaci di entrare a fondo nelle sfumature di una pagina che ha una tinta ben più drammatica di quel che il titolo lasci pensare. In occasione della precedente esecuzione all’Olimpico di questa pagina fondamentale (nel 2007) avevamo parlato di contrasti abbaglianti; questa volta, la misura dell’insieme è parsa predominante, senza che ne avesse a patire la profondità inquietante del pensiero musicale bartokiano.

Due sere dopo è stata la volta della Gran Partita di Mozart (Serenata K. 361), monumentale e ineguagliato trionfo degli strumenti a fiato, che nella serata del gran debutto di Verdi ha sottolineato il virtuosismo dei solisti di cui Schiff si circonda, la loro musicalità, la loro eleganza e la bellezza del loro suono. Infine, gran finale con la Seconda di Brahms. Nel 2012 Schiff aveva affrontato la Prima, e aveva sentito il bisogno di mettere per iscritto (nelle note pubblicate sul programma) che si trattava di una richiesta giunta da parte dell’orchestra. Le cose non sono cambiate quest’anno: non è ben chiaro perché, ma il pianista ci tiene a dire che la scelta delle Sinfonie brahmsiane non è sua. Non sono cambiati, in sostanza, neanche gli esiti musicali: compattezza, precisione e duttilità di suono dentro a un approccio che ha privilegiato la misura classicistica più che le reboanti perorazioni romanticheggianti

IL PIANOFORTE. Solo una volta il pianoforte, quest’anno, è apparso solitario al centro della scena palladiana (trattavasi, peraltro, di un maestoso Bösendorfer, quasi un’astronave del suono planata davanti alla porta regia…). È accaduto l’ultima sera, quando András Schiff ha inserito, fra una Suite bachiana e la Seconda di Brahms, il clima espressivo intimo e colloquiale della Sonata op. 78 di Schubert. Il fraseggio morbido, i tempi cangianti e il suono intriso di poesia cesellati dal pianista ungherese hanno accompagnato il pubblico dall’aulica monumentalità olimpica al calore domestico di un discorso molto personale eppure trasparente, qui sempre privo delle ombre che di lì a poco si sarebbero addensate sulla vita e sull’arte di questo grande compositore.

Pubblico rapito, ma questa non è una novità, e alla fine entusiasta e incline a un tifo quasi da stadio, singolare nell’austerità dell’Olimpico.

Cesare Galla
(26-29 aprile 2018)

La locandina

Omaggio a Palladio Festival
GIOVEDÌ 26 aprile ’18
Teatro Olimpico di Vicenza
Interpreti:
Orchestra Cappella Andrea Barca
Direttore e pianoforte Sir András Schiff
Violino Erich Höbarth
Viola Hariolf Schlichtig
Violoncello Christoph Richter
Musiche di:
Johann Sebastian Bach
Béla Bartók
Johannes Brahms
VENERDÌ 27 aprile ’18
Basilica Ss. Felice e Fortunato
Interpreti:
Orchestra Cappella Andrea Barca
Direttore Sir András Schiff
Coro Schola San Rocco
Maestro del coro Francesco Erle
Organo Michael Beringer
Musiche di:
Johann Sebastian Bach
Anton Bruckner
Robert Schumann
SABATO 28 aprile ’18
Teatro Olimpico di Vicenza
Interpreti:
Cappella Andrea Barca
Direttore Sir András Schiff
Flauto Wolfgang Breinschmid
Merel Quartett
Musiche di:
Johann Sebastian Bach
Giuseppe Verdi
Wolfgang Amadeus Mozart
DOMENICA 29 aprile ’18
Teatro Olimpico di Vicenza
Interpreti:
Cappella Andrea Barca
Direttore e pianoforte Sir András Schiff
Musiche di:
Johann Sebastian Bach
Franz Schubert
Johannes Brahms

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.