Vicenza: una visita a Beethoven

All’età di 27 anni, nel 1840, Richard Wagner era ancora lontano dal dramma musicale. Fino a quel momento era approdato alle scene soltanto Das Liebesverbot (Magdeburg, 1836) e l’opera scritta in precedenza, Die Feen, composta nel 1834, rimaneva nei suoi cassetti (sarebbe stata rappresentata postuma solo nel 1888). Aveva ormai concluso anche la partitura del Rienzi, che avrebbe trionfalmente visto la luce due anni più tardi a Dresda.

A maggior ragione, dunque, il racconto wagneriano intitolato Una visita a Beethoven, pubblicato a puntate su una rivista parigina in quel 1840, appare singolare per il manifestarsi di almeno un paio di caratteristiche tipicamente wagneriane. Una è naturalmente la devozione sostanzialmente apodittica per il grande compositore tedesco – che si riflette anche nel titolo originale, che tradotto alla lettera suonerebbe Un pellegrinaggio da Beethoven. L’altra e più importante riguarda una delle prime evidenze del “transfert” musicale in base al quale nei decenni successivi Wagner avrebbe “piegato” Beethoven alla sua idea di musica, in particolare proprio per quanto riguarda la Nona Sinfonia – che nel racconto s’immagina già composta ma non ancora pubblicamente eseguita – cristallizzata nel ruolo di culmine e conclusione di tutto un genere musicale, grazie all’incontro tra orchestra e voce.

Ma c’è di più. In questo scritto Wagner adotta un ulteriore dispositivo retorico in base al quale Beethoven – discutendo con il musicista di Lipsia protagonista della storia che è finalmente giunto al suo cospetto dopo non poche traversie – esprime un’idea sull’opera che sembra essere sulla linea del futuro dramma musicale. «Se io scrivessi uno spartito (si intende operistico; n.d.r.) secondo i miei istinti – proclama a un certo punto il Grande Sordo – il pubblico fuggirebbe; perché non vi metterei né Arie, né Duetti, né Terzetti, né alcun’altra cosa che oggi si ritiene necessaria per scrivere un’opera. E ciò che vi sostituirei nessun cantante vorrebbe cantarlo e nessun pubblico vorrebbe ascoltarlo. Essi tutti non conoscono se non l’iridescente menzogna, la vacuità brillante, la noia inzuccherata. Colui che facesse un dramma lirico veramente degno di questo nome passerebbe per un pazzo e lo sarebbe davvero, se invece di tenerlo per sé soltanto, lo gettasse in pasto al pubblico».

Riesumare questo testo poco conosciuto (è ancora reperibile la traduzione pubblicata da Passigli nel 2003) per farne uno spettacolo è iniziativa tipicamente festivaliera. E appare quindi naturale trovare Una visita a Beethoven al centro della programmazione delle Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza, un festival che ha raggiunto il ragguardevole traguardo della trentaduesima edizione. Il problema semmai è costituito dal fatto che gli argomenti musicali affrontati nella narrazione hanno poco a che fare con la dimensione cameristica che è tipica della rassegna diretta da Sonig Tchakerian.

Nel racconto si parla di Fidelio, del giovanile Lied Adelaide, della scrittura vocale e della varietà degli stili ad essa connaturata. Tchakerian ha puntato sul dialogo violino-pianoforte, chiamando accanto a sé la pianista Leonora Armellini e costruendo una sorta di contrappunto cameristico alle parole basato su due Sonate di Beethoven – il primo movimento dell’op. 24, Primavera e l’ultimo della Kreutzer op. 47 e su una pagina giovanile di Wagner di notevole interesse. Si tratta del dell’Albumblatt für Ernst Benedict Kietz, per solo pianoforte che risale proprio al 1840 e che è stato proposto in una versione in cui al violino è affidata la linea melodica principale.

La voce narrante era quella di Paolo Kessisoglu, noto al grande pubblico specialmente per le trasmissioni televisive con Luca Bizzarri, ma artista dai molti interessi teatrali e musicali, che ha fatto così il suo debutto sul palcoscenico del più antico teatro coperto del mondo. Tagliato quanto basta, il racconto è stato proposto con interessante multiformità di voci (dall’Io narrante a Beethoven, senza trascurare la bizzarra figura di un inglese che intralcia i propositi del protagonista avendo a anch’egli lo scopo di essere ricevuto dall’autore della Nona) e con ritmi anche troppo incalzanti.

La risibile qualità del sistema di amplificazione (incredibile che all’Olimpico non si sia ancora provveduto a qualcosa di meglio) e il problematico equilibrio fra voce e suono nei momenti di interazione hanno reso problematica la comprensione in più di qualche momento, ma la singolare peculiarità della proposta è rimasta, sottolineata dalla bella disposizione affabulatoria di Kessisoglu e dall’eleganza e ricchezza di suono di Tchakerian e Armellini. Olimpico quasi al completo e alla fine grandi consensi e numerose chiamate per tutti tre gli interpreti. Come bis, una pagina con tutto il fascino del “vero” Wagner, quello che si lancia ai confini della tonalità: l’Elegia per pianoforte risalente al 1858 (l’epoca del Tristano), anche questa adattata in duo con il violino.

Cesare Galla
(28 maggio 2023)

La locandina

Attore Paolo Kessisoglu
Violino Sonig Tchakerian
Pianoforte Leonora Armellini
Programma:
Richard Wagner 
da Albumblatt fűr Ernst Benedikt Kietz per pianoforte e violino
“Lied ohne Worte”
Ludwig van Beethoven 
dalla Sonata op. 24 in fa maggiore ‘La Primavera’ per pianoforte e violino
Allegro
Bagatella WoO 59 in la minore per pianoforte“Für Elise”
Richard Wagner 
da Albumblatt per violino e pianoforte
Con moto
Ludwig van Beethoven 
dalla Sonata op. 47 in la maggiore “A Kreutzer” per pianoforte e violino
Finale. Presto

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