Vienna: l’asciutto pianismo di Andsnes infiamma il Musikverein
Giovedì 13 febbraio, nella dorata Sala Grande del Musikverein di Vienna, si è tenuto il recital di Leif Ove Andsnes. Il pianista norvegese è un volto noto per il pubblico viennese: la sua presenza in recita e da solista con orchestra al Musikverein e al Konzerthaus è costante, anche se in questo caso imprevista. Andsnes sostituisce infatti il compianto Maurizio Pollini, che avrebbe dovuto tenere originariamente il concerto, e i Preludi op. 28 di Chopin in seconda parte sono stati quasi un omaggio al pianista italiano reso celebre dalla vittoria del Concorso Chopin di Varsavia.
In realtà tutto il programma sembrava più che altro un omaggio alla miniatura: dopo l’inizio con la Sonata op. 7 di Grieg, è seguito il primo volume da Sul sentiero di rovi di Janàček, per finire con i menzionati Preludi op. 28 di Chopin. Se può stupire la presenza della giovanile Sonata al posto di una selezione di Pezzi lirici del maestro della miniatura Edvard Grieg, l’approccio di Andsnes ha facilmente motivato la scelta, peraltro probabilmente finalizzata a evitare un eccesso di forme brevi. L’ardore e lo slancio lirico con cui Andsnes ha solcato i quattro movimenti, infatti, hanno tenuto insieme una Sonata che si frammenta facilmente, reggendosi più che su grandi impalcature formali su magnifici temi ed effetti plateali, propri di un giovane pronto a guadagnarsi il suo posto nell’arena dei pianisti-compositori del tardo Ottocento.
Se un po’ di fretta nel disimpegnare la Sonata ne ha anestetizzato alcuni dei punti più emozionanti, altra cura hanno ricevuto i piccoli capolavori del Sentiero di rovi. Qui Andsnes si è preso tutto il tempo che serviva per affrontare uno ad uno i dieci, brevi capitoli di questo percorso nell’infanzia, dietro ogni nota del quale si nasconde come spesso in Janàček lo spettro della morte. Il pianismo di Andsnes sembra adattarsi come un guanto al linguaggio sconnesso e ambiguo di Janàček. Vi è nel pianista norvegese una sorta di contorta limpidezza, la trasparenza della tessitura è disadorna al limite della desolazione, senza mai concedere un rigonfiamento, una morbidezza, una risonanza di troppo. Eppure l’essenzialità di Andsnes non arriva mai all’algido distacco, l’intimità sofferta di questo viaggio nell’anima di Janàček non appare sublimata in una contemplazione apollinea di linee, forme e armonie, ma sembra semplicemente interiorizzata con dignità e schiettezza. Mi si passi l’immagine un po’ stucchevole, ma era come se l’espressività bruciante di Janàček fosse stata ricoperta da una coltre di neve, che nel celarne le forme la evoca con ancora più evidenza. In questa disturbante semplicità prospera felice questa musica che odora di canti popolari e malessere esistenziale.
Dopo l’intervallo, Andsnes è tornato per dedicarsi ad un altro ciclo assai bizzarro. Descritti con il solito acume da Robert Schumann come “schizzi, incipit di studi, ovvero frammenti di rovine, penne d’aquila”, i 24 Preludi op. 28 di Fryderyk Chopin sono veramente creature tra le più bizzarre e affascinanti. Eseguiti oggi regolarmente nella loro interezza (usanza di molto successiva alla morte di Chopin, che ne suonava al più pochi numeri ravvicinati), Andsnes ha in realtà disinnescato la macrostruttura del ciclo, mettendo in risalto ogni numero come un bozzetto a sé o tutt’al più radunandoli in piccoli sottoinsiemi che sfuggivano alle logiche retoriche più comuni, quali giocare d’effetto grazie all’improvviso fortissimo o a un saettante presto con fuoco dopo un Preludio più lirico o meditativo. Per assurdo, però, nel suo ritagliare un momento per ogni Preludio, esaltandone ogni stranezza o asimmetria, il ciclo è esploso con ancora maggiore effetto, e l’ultimo Preludio ha portato a conclusione il concerto con una nobile ferocia che pur senza platealità roboante ha strappato un applauso veramente convinto alla sala.
Sala poi prontamente ricompensata con non uno, non due, ma ben tre bis – con grande disdetta delle signore in pole position per il guardaroba poi costrette dalla buona creanza a fermarsi in piedi per ascoltare La cathédrale engloutie dai Preludes di Debussy, in cui la crudezza del pianismo di Andsnes ha fatto emergere una solidità plastica che anticipa il linguaggio delle Études più tarde, poi ancora la sospesa ed elegante Étude-Tableaux op. 33 n. 2 di Rachmaninov, e infine, per ricongiungersi con l’inizio, la Marcia norvegese dai Pezzi lirici op. 54.
Alessandro Tommasi
(13 ferbbraio 2025)
La locandina
Pianoforte | Leif Ove Andsnes |
Programma: | |
Edvard Grieg, | |
Sonata in mi minore op. 7 | |
Leoš Janáček | |
Po zarotlém chidničku (Sul sentiero di rovi) JW 8/17 | |
Fryderyk Chopin | |
24 preludi op. 28 |
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