Xavier de Maistre, lo charme dell’arpa
In occasione del suo concerto con la Filarmonica Arturo Toscanini (qui la recensione) abbiamo incontrato Xavier de Maistre che, lungi da qualsiasi iperbole, è di fatto il più grande arpista attualmente in carriera sulle scene internazionali oltre ad essere un grand charmeur.
- Come mai proprio l’arpa?
I miei genitori mi mandarono al conservatorio di Toulon quando avevo otto anni per e incontrai la maestra di arpa che era appena arrivata e sono caduto vittima del suo fascino e ho voluto cominciare a studiare lo strumento che lei insegnava. Quindi è stata da subito una storia d’amore sia con lo strumento che con la maestra di arpa. Poi è vero che ho sono stato anche felice di iniziare lo studio di uno strumento originale e che nessun altro stava intraprendendo. Non avevo alcun desiderio di fare pianoforte o violino come tutti e la ricchezza dello strumento e la sua bellezza estetica hanno giocato un ruolo importante
- Perché, nell’immaginario popolare, è considerato uno strumento “femminile”?
È vero che nell’immaginario di molte persone è ancora associata alla fine del XVIII secolo perché allora l’arpa era lo strumento della regina Maria-Antonietta ed era suonato da tutte le giovani della buona società e la si vede in molti quadri dell’epoca. Credo però che nell’ultimo decennio la tendenza sia realmente cambiata. Da quando suono di più come solista e sono dunque più esposto vedo che i ragazzi hanno trovato un’ispirazione e un modello e ora nei concorsi internazionali e nei conservatori superiori si ritrovano sempre più uomini. Penso sia importante che l’immagine dell’arpa si vada normalizzando, perché sia credibile come strumento solista e non semplicemente come strumento da salotto.
- Nelle tue scelte di repertorio traspare una grande curiosità per generi diversi. Come nascono?
Dato che abbiamo pochissimo repertorio originale scritto da compositori famosi come Beethoven, Brahms o Mozart, gli arpisti d’oggi sono spinti ad essere costantemente alla ricerca di nuovi pezzi da eseguire, di nuovi compositori. La cosa mi è parsa immediatamente evidente quando ho cominciato a sviluppare la mia carriera solistica. L’arpa è uno strumento che piace molto e attrae il pubblico, ma non c’è abbastanza repertorio famoso; dunque ho cominciato a fare degli arrangiamenti. Il mio primo disco è dedicato a Debussy, poi ho ripreso dei concerti per pianoforte di Haydn e ancora delle musiche spagnole per chitarra. Mi piacerebbe molto suonare dei concerti di Čajkovski o di Brahms ma allo stesso tempo ci si deve rinnovare, essere creativi, di avvicinarsi a combinazioni mai sperimentate prima; ho a voto la fortuna di registrare un album con Lucero Tena, la grande virtuosa di castañuelas. Ho fatto dei recital con Diana Damrau e ho appena terminato di registrare un programma di musica latinoamericana con Rolando Villazòn. Tutto questo permette di scavalcare i limiti e le frontiere di uno strumento e di sviluppare dei progetti originali.
- Il Covid ha colpito tutti, ma quello della musica è stato uno dei settori più penalizzati. Come stai vivendo questo strano periodo?
La diffusione del Covid ha completamente sconvolto la nostra quotidianità e penso che sia particolarmente difficile per gli artisti internazionali che come me erano abituati a viaggiare ogni settimana alla volta di un paese diverso. Personalmente ho avuto, tra il 2020 e il 2021, il 90% di concerti cancellati e sta continuando così anche quest’anno; il festival d’inverno di Salisburgo – le Mozartwochen – è stato completamente annullato. Lo stesso a Francoforte, dove avrei dovuto suonare questa settimana, Dunque l’impossibilità di viaggiare, andavo almeno cinque o sei volte l’anno in Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia: due anni che non sono più potuto andare in Asia per dei concerti che amo molto condividere con il pubblico di là. Il nostro lavoro è fatto di interazioni, di rapporti e in questo periodo siamo stati costretti a rimanere ciascuno a casa propria e questo è l’esatto contrario del principio che sta alla base della nostra attività. Ho sofferto molto dei concerti fatti con pochissimo pubblico, in sale da duemila persone alle quali potevano accedere solo duecento spettatori. Credo che ogni artista necessiti dell’energia del pubblico e siccome in questo momento manca mi sono chiesto se si possa continuare a fare quello che si faceva prima ma oggi in condizioni completamente degradate e dunque non mi interessa più. Al momento sono in attesa; il mio atteggiamento è cambiato: da una routine che consideravo molto faticosa oggi ogni volta che salgo sul palcoscenico mi rendo conto della fortuna che ho nell’essere insieme. Ho sviluppato la capacità di godere di ogni momento in cui sono sulla scena e di viverlo come un privilegio, una cosa che non è né garantita né automatica mi permette di apprezzare l’essere insieme.
- Quali i progetti futuri?
I progetti futuri riguardano molto di ciò che avrei dovuto fare negli anni passati e che è stato rinviato. Una grande tournée internazionale, che ho molto a cuore, con Rolando Villazòn con un programma di canzoni latinoamericane e poi ho delle nuove commissioni. Peter Eötvös, il compositore ungherese, ha scritto un concerto che eseguirò nel mondo intero e poi a vivo in programma dei recital che avevo dedicato al Natale e che uscito in disco ma non ho potuto suonare in recital, e ancora una tournée con Diana Damrau in autunno il tutto insieme alla ricerca di quanto potrò fare nei prossimi anni.
Alessandro Cammarano
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