Zurigo: Klaus Florian Vogt debutta nel Ring di Noseda/Homoki

Con Siegfried prosegue il Ring dell’Opernhaus di Zurigo, celebrato dalla critica internazionale e in particolare tedesca, che ai recenti Oper! Awards ha nominato Gianandrea Noseda direttore dell’anno per i primi due capitoli della saga wagneriana. Al 2023 resta dunque il compito di concludere l’ambizioso progetto che vede alla direzione musicale di Noseda affiancarsi la regia del sovrintendente dell’Opernhaus, Andreas Homoki.

Delle quattro opere che compongono il Ring, Siegfried è forse la più complessa. La lunghissima gestazione, la struttura a fiaba unita ad un contorto scavo psicologico, gli spiccati elementi di commedia che contrappuntano grottescamente la vicenda, l’orchestrazione densa di raddoppi e la centralità del personaggio di Siegfried pongono costanti sfide agli interpreti. Dove ti volgi, l’opera rischia di sfuggire, di sfaldarsi, di perdere unità, di cadere in contraddizioni inefficaci o di appiattirsi in una chiave di lettura univoca e quindi limitata. Anche in questo caso però, pur con qualche tentennamento, l’Opernhaus di Zurigo riesce a risolvere con successo le molte questioni.

La direzione di Noseda non è stata premiata per caso: nonostante in Siegfried il direttore non raggiunga i livelli di cesello di Rheingold e Walküre, la struttura risulta comunque ben saldata da una tensione nervosa, da uno slancio e da sonorità solide eppure flessibili, che Noseda distribuisce con attenzione. L’estrema varietà dell’opera, nei suoi rapidi scarti, viene sottolineata dal volitivo gesto del direttore senza che il discorso si perda nei meandri della partitura, una caratteristica questa che è forse il punto di forza principale di questa produzione. La menzionata densità dell’orchestrazione non facilità gli equilibri e l’orchestra tende a tratti a soverchiare le voci, ma le esondazioni vengono in genere rapidamente arginate da Noseda con quello che è a tutti gli effetti uno scontro di forze titaniche tra buca e palco. Dei titoli precedenti, viene confermata l’epidermica comprensione che Gianandrea Noseda sembra avere del Ring. Senza abbandonare la tenuta drammaturgica, i colpi di scena, la maestosità epica, la regia musicale quasi cinematografica, Noseda si concede fremiti di intuizione che valgono le cinque ore e mezza di rappresentazione. Tale è ad esempio il fulmine che attraversa la partitura poco prima del “Das ist kein Mann”, la realizzazione di Siegfried che quello che ha di fronte non è un uomo ma la valchiria Brünnhilde. Accumulando sapientemente tensione, Noseda tende il suono degli archi della Philharmonia Zürich in una saetta dagli spigoli acuminati ed evocati nella cavata netta e pesante e nella compattezza delle sezioni. Compattezza che in generale si trova in tutta l’orchestra dell’Opernhaus. Trascurabili sbavature, quali i passaggi non cristallini nelle scene nel bosco e nel dialogo tra Siegfried e il Waldvöglein del secondo atto, sono le uniche pecche di una prova orchestrale più che eccellente e sempre pronta a rispondere al suo direttore.

Continua in Siegfried il felice connubio tra la buca e la regia di Homoki. Le considerazioni sullo spettacolo partono da quanto già analizzato nei titoli precedenti (qui e qui le recensioni di Rheingold e Walküre). Homoki sceglie un’ambientazione domestica e ottocentesca, trovando un’ottima fusione tra gli attributi dei personaggi e gli abiti simil d’epoca. Ciò che sorprende ad ogni capitolo della saga è lo straordinario lavoro fatto con gli attori. Ogni gestualità sembra studiata e lavorata attentamente con i cantanti, per cui il nervoso tormentarsi di Mime, sempre intento ad asciugarsi il sudore e a sistemarsi gli occhiali, e gli ampi passi spavaldi e ignari di Siegfried si inseriscono in un cast di attori splendido. Homoki riesce anche con sufficiente successo a coniugare l’aspetto comico, o perfino grottesco, di Siegfried con le pulsioni spirituali dell’opera, al netto di qualche eccesso demistificatorio. Ogni tanto cozza con la direzione tesa e concentrata di Noseda, in particolare nel terzo atto, ma anche i momenti potenzialmente ridicoli riescono in fondo coerenti con la lettura del Siegfried quale eterno fanciullo, sbadato e coraggioso, distante da visioni nietzschiane da oltre-uomo.

Magistrale la prova di Klaus Florian Vogt, al suo debutto nel ruolo di Siegfried. Il timbro chiarissimo e squillante si adattava con felice aderenza (segno di un casting furbo e accorto) all’idea regista di Homoki, così come alle sonorità sode e spigolose di Noseda, mentre la resistenza del tenore tedesco raggiunge del prodigioso quando nel lunghissimo (e bellissimo) duetto finale con Brünnhilde indossa i polmoni di riserva e tiene testa alla densa orchestra wagneriana senza apparentemente conoscere fatica. Siegfried giovane eroe senza macchia e senza paura non poteva trovare interprete più adatto per questa produzione, i boati a fine recita valgano a ulteriore conferma popolare. Meraviglioso anche il Mime di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, capace di delineare con grandissima attenzione un personaggio contorto, grottesco ma anche profondamente umano, senza mai rinchiudersi in una sterile caricatura o in una macchietta fuori luogo. Dal prossimo titolo si farà sentire l’assenza di Tomasz Konieczny, un Wotan dalla voce squadrata e solida, dal bel timbro pulito e dalla flessibilità necessaria a trovare tutte le inflessioni contradditorie del personaggio: saggio e violento, protettore e distruttore, potente e vulnerabile. Il grandioso successo che si deve ai primi due titoli di questa produzione, lo si deve anche al basso-baritono polacco, che spicca anche per controllo del palco e totale immersione nel personaggio. Caratteristiche che fondamentalmente possiamo attribuire anche all’Alberich di Christopher Purves, certamente meno presente ma non per questo meno centrale nella vicenda. Il dialogo tra Alberich e Wotan nel secondo atto, l’ultimo incontro tra gli acerrimi nemici, mostrava tutta la confidenza di due rivali ormai abituati a combattersi e per questo a conoscersi, un odio potremmo dire amichevole, non esente da autoironia. Convince la Brünnhilde di Camilla Nylund, anch’ella al debutto nel ruolo, che nella Walküre mostrava ancora qualche titubanza, ormai in gran parte abbandonata in favore di rinnovato slancio energico e una voce massiccia e ben proiettata e che tiene testa alla buca. L’insieme dei timbri di Nylung e Vogt forse non è dei più pastosi e omogenei, ma, giova ripeterlo, non è questo un Ring pastoso e omogeneo, tutt’altro. Buona anche se più incerta la prova di Rebeca Olvera, al suo debutto come Waldvöglein, un po’ tesa e forse forzata dalla necessità di spingere più di quanto la sua voce non consenta. Ottimi il Fafner di David Leigh (che tornerà come Hagen nel Crepuscolo) e la Erda di Anna Danik, entrambi dotati di bel timbro, voce solida e intuito scenico.

La saga wagneriana giungerà alla sua funerea conclusione con Götterdämmerung a novembre e resta alta la curiosità di fronte all’ultimo e più trascendentale capitolo di questo epico viaggio.

Alessandro Tommasi
(14 marzo 2023)

La locandina

Direttore Gianandrea Noseda
Regia Andreas Homoki
Scene e costume Christian Schmidt
Luci Franck Evin
Video Tieni Burkhalter
Drammaturgia Werner Hintze, Beate Breidenbach
Personaggi e interpreti:
Siegfried Klaus Florian Vogt
Mime Wolfgang Ablinger-Sperrhacke
Der Wanderer Tomasz Konieczny
Alberich Christopher Purves
Fafner David Leigh
Erda Anna Danik
Brünnhilde Camilla Nylund
Das Waldvöglein Rebeca Olvera
Philharmonia Zürich

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