CD: Agnese Toniutti, fascino e i rischi del contemporaneo
Non so se il coraggio può rappresentare una categoria utile, spendibile nella critica musicale, ma una cosa è certa, questo disco di Agnese Toniutti è un lavoro coraggioso. I motivi sono molti, per primo, di getto e scontato, quello di proporre repertori non molto consueti della musica d’oggi. Ma è provando a scavare un po’ nel profondo che nell’approccio della pianista friulana verso (e dentro) quei repertori scoviamo i pregi di Subtle Matters. La Toniutti viene da Lento trascolorare (Da Vinci Classics, 2020) su musiche per pianoforte di Giancarlo Cardini. Può sembrare azzardato (praticamente qui la tastiera non viene mai usata) ma ad una lettura attenta si può scovare una continuità. Dai panorami trasparenti, sospesi e poetici del compositore toscano l’approdo alla radicalità di Lucia Dlugoszewski, Tan Dun e Philip Corner passa comunque attraverso un binomio d’indagine, solo apparentemente incompatibile, rigore e libertà. Con queste chiavi d’accesso la Toniutti, nel sottolineare suono, silenzio e dettaglio, salvaguarda, lontana da accademismi, la propria poetica come quella dei compositori presi in esame.
La Dlugoszewski (1925/2000) è praticamente sconosciuta in Italia. Exacerbated Subtlety Concert (del 1997 e rivisitata nel 2000) non ha una partitura scritta, la pianista ha dovuto trascriverla dall’unica registrazione disponibile. Il suo timbre piano (da non confondere con il prepared piano di Cage, non sono presenti infatti interventi preparatori sulle corde) trasforma lo strumento in una sfavillante tavolozza timbrica attraverso modalità di produzione del suono come gesto, dinamiche e oggetti, tutto in modo istantaneo, durante l’esecuzione stessa. Ma la curiosità, pur condivisibile, verso la tecnica esecutiva non ci deve distogliere dalla fascinazione che questa ci regala, tanto meno farci allontanare dalla profonda compenetrazione emotiva espressa nell’opera dalla Toniutti, che nella performance travalica l’interpretazione per addentrarsi nei rischi della complessità.
Con C-A-G-E, fingering for piano (1994) Tan Dun (1957) omaggia John Cage, altro autore amato e frequentato dalla Toniutti. Qui il compositore cinese offre pochissimi margini di libertà all’esecutore, con un’impostazione di scrittura quasi tradizionale lo spinge, definendo modalità di esecuzione del suono con codici e note aggiuntive, verso uno spazio sonoro macchiato da lampi astratti, ritmici, quasi silenzi, che rimandano alla sua cultura. La Toniutti garantisce la costante tensione che pervade l’opera con un tocco pregevole e conseguente. Rimane un dubbio su cosa pensi Dun di Cage, ma forse questo è un dettaglio.
Diverso il rapporto con Philip Corner (1933). Newyorchese, membro e co-fondatore di movimenti storici come Fluxus, tanto per capirne la collocazione culturale. Le sue composizioni responsabilizzano l’esecutore, gli concedono la libertà di scegliere la strada per arrivare ai parametri dati con le sue partiture verbali o grafiche – «…l’esecutore è chiamato a fare scelte da compositore …» ha dichiarato la pianista in una recente intervista. In questo scenario, da Toy Piano del 2012 a A really lovely piece made for & by Agnese del 2019, è tutto un susseguirsi di costruzioni sonore, sculture sognanti, fantasmi e misteri, elementi che la Toniutti modella e muove in una commovente drammaturgia.
Subtle Matters non solo ci racconta come il pianoforte non suonato tradizionalmente, lontano dai salotti borghesi, ci possa regalare ancora panorami sonori sorprendenti ma ci ricorda anche come l’artista, chi mette le mani dentro lo strumento, si debba necessariamente rimettere in gioco, coraggiosamente ridiscutere ruolo e visioni.
Paolo Carradori
[…] Here a new review of Subtle Matters by Paolo Carradori for Le Salon Musical: “I don’t know if courage can represent a useful category that can be spent in music criticism, but one thing is certain, this album is a courageous work. … Subtle Matters not only tells us how the piano not traditionally played, far from the bourgeois living rooms, can still give us surprising sound panoramas but also reminds us how the artist, whoever puts his hands inside the instrument, must necessarily put back into play, courageously re-discuss role and visions.” […]