Madrid: con La Regenta la Spagna trova il suo posto nell’opera contemporanea

Per la prima volta, il meraviglioso testo “Clarín” di Leopoldo Alas si sottopone al lirismo e diventa uno spettacolo operistico. La prima assoluta è una produzione del Teatro Real e Naves del Español. L’opera in tre atti è diretta da Jordi Francés e la regia è di Bárbara Lluch. Il romanzo che è stato magistralmente portato al cinema, in televisione e in teatro e dopo più di cento anni dalla sua pubblicazione resta oggi nell’immaginario collettivo come esponente della cultura narrativa spagnola.

La storia di una donna dominata dalle sue passioni e dai suoi istinti incorniciata nella rigidità di un’epoca che la rese attuale e in alcuni casi addirittura sconvolgente. Il tradimento, l’adulterio, la passione, il desiderio di vendetta si intrecciano con un filo segnato dal rigore di un tempo già passato, sì, ma che ci ha segnato tutti. Un tempo in cui il sentimento era praticamente un peccato e lasciarsi trasportare dai sentimenti era ancora peggio. Così nasce il personaggio, quella donna che nasconde sotto le gonne la sua verità e il suo modo di essere. Una donna che finirà per consumarsi dal dolore e dal fatto spietato di doversi aggrappare al fallimento.

La meravigliosa musica è di María Luisa Manchado Torres. La sua terza opera, in lavorazione da più di vent’anni, su libretto di Amelia Valcárcel e Bernaldo de Quirós. E godendo della messa in scena da un luogo privilegiato è stato possibile vedere come l’Orchestra Principale del Teatro Real ha affrontato questa partitura con grande qualità e soprattutto il giovane virtuoso delle percussioni che ha dato allo spettacolo una dose di intensità segnata dal colpo preciso. agli elementi sonori rilevanti. Merita le congratulazioni che ha ricevuto personalmente dallo scrittore. Non possiamo non citare la magistrale esecuzione del primo violino che da solo regala uno splendido momento di brillantezza e il pianista che si muove tra i tasti di due diversi strumenti contemporaneamente con assoluta e totale maestria. Senza dubbio, la mano e mai meglio dirlo di Jordi Frances è un pezzo chiave e fondamentale nello splendore di La Regenta perché la musica è il suo principale bastione.

La regista esplora quel noto e potente fenomeno teatrale della solitudine scenica. Ana Ozores, interpretata brillantemente da María Miró, è sola sul suo palco, lo spazio le appartiene e solo lei lo riempie. La nudità in scena è tale che si assiste innumerevoli volte nell’azione drammatica a vestire e svestire il personaggio con ogni sorta di costumi. Ma MariaMiro è assistita solo dalla sua meravigliosa voce per dare vita a questa donna complessa che emula. È sorprendente come la sceneggiatura sia riuscita a minimizzare e condensare il carattere complesso del romanzo e a ridurlo ad un torrente di emozioni contenute e non ad una donna che emana forza, passione ed è di per sé un fatto reale e vero. Il lavoro del soprano spagnolo è brillante. Così come spiccano i magistrali David Oller come Fermín de Pas e un magnífico Cristian Díaz, basso colombiano nel suo Don Víctor.

La scatola nera in cui si svolge l’azione ha una brillante struttura posteriore di impalcature e scale che permette di distribuire gli attori in alto su tutta la struttura, mantenendo la quarta parete che siamo. Possiamo vedere come la solitudine di The Ozores si riempie a volte di più di venti artisti i cui personaggi, tutti, senza eccezione, finiscono per aggiungere più solitudine. Un’illuminazione inopportuna e corretta si traduce immediatamente in una luce blu che tenta di creare un effetto visivamente poco attraente. Il costume è indefinibile, ed è proprio quello che cerca, per questo è innovativo e nella sua atemporalità fornisce luce e, soprattutto, colore.

C’è un mezzo di preparazione o di riscaldamento dell’azione drammatica forse troppo utilizzato in cui il personaggio de La Regenta rimane silenzioso, in un monologo interiore, in preda alle sue emozioni e pensieri contenuti, che forse è a volte periodi molto lunghi di tempo. Infatti, una seconda Ana è in scena in un dialogo interiore quando il pubblico entra nella sala e rimane in scena fino all’inizio dello spettacolo, fornendo quel languore e quella rappresentazione della vita interiore del personaggio che finisce per diventare superflua. C’è anche una risorsa, diciamo, comica o forse con l’intenzione di livellare il terreno rendendo tutto più simpatico, forse un po’ forzato, o almeno così sembra, perché il concetto attorno è così cupo ed è così forte da escluderlo ideologicamente.

Quando ti godi l’Opera nella tua lingua, tutto si ridimensiona. I testi, l’intensità di ogni frase, sono davvero molto emozionanti. Riesci ad avere il controllo assoluto della scena e della sua portata come pubblico. Diventi un grande rilevatore di fallimenti vocali e anche di risultati virtuosi. Ascoltarlo e sperimentarlo in spagnolo è stato qualcosa di indimenticabile e molto significativo.

Se il minimalismo inonda la scena, è inevitabile che lo spettacolo abbia quella rigidità che gli conferisce freddezza. Quando lo spettatore è privato della minima risorsa visiva (in scena c’è solo una bellissima Chaise Longue e niente più), è inevitabile che tu senta quell’assenza come una risorsa e anche come un’assenza. Presumibilmente i puristi potrebbero trovare una sciocchezza in questa risorsa.La forza di un testo, la forza drammatica che lo compone, che lo fa, può farlo navigare in quel mare di nulla, o in quell’universo di non-esistenza con fluidità ma, quando tanto è stato tagliato , il testo, quando gli è stato dato spazio solo per l’originale e le decorazioni sono state soppresse, in modo che non ce ne siano nemmeno sulla scena, può risultare un po’ opprimente. Ma, poiché è possibile che questa sia l’intenzione di la persona che l’ha creato, lasciamo che siano gli applausi a valutare.

Questo è il nuovo volto dell’Opera, il genere si evolve, cresce. Si aggrappa all’avanguardia ed è novità e verità, che sempre e fortunatamente la Spagna è esponente di questo processo. Lunga (e nuova) vita per l’opera spagnola.

Ricardo Ladrón de Guevara
(29 ottobre 2023)

Originale spagnolo

La Regenta

España ocupa su lugar en escenario de la Ópera

Por primera vez el maravilloso texto de Leopoldo Alas “Clarín” se sujeta a la lírica y se convierte en espectáculo operístico. El estreno absoluto es una producción del Teatro Real y Naves del Español. La ópera en tres actos está dirigida musicalmente por Jordi Francés y la dirección escénica la firma Bárbara Lluch. La novela que ha sido magistralmente llevada al cine  a la televisión y al teatro y tras más de cien años de su publicación permanece hoy en día en el imaginario colectivo como un exponente de la cultura narrativa española.

La historia de una mujer dominada por sus pasiones y sus instintos enmarcada en la rigidez de una época que hizo que fuese relevante y en algunos casos hasta impactante. La traición, el adulterio, la pasión, el deseo de venganza se entretejen con un hilo marcado por el rigor de un tiempo que ya pasó, si, pero que nos marcó a todos. Un tiempo en el que sentir era prácticamente un pecado y dejarse llevar por los sentimientos uno aún peor. Así nace el personaje esa mujer que esconde debajo de sus faldas su verdad y su forma de ser. Una mujer que acabará consumida por el dolor y el hecho inmisericorde de tener que aferrarse al fracaso.

La maravillosa música es de María Luisa Manchado Torres. Su tercera obra, que ha tenido más de veinte años de preparación con un libreto de Amelia Valcárcel y Bernaldo de Quirós. Y al disfrutar del montaje desde un lugar privilegiado ha sido posible ver como la Orquesta Titular del Teatro Real defendía esta partitura con una gran calidad y sobre todo el joven virtuoso de la percusión que le imprime al espectáculo una dosis de intensidad marcada por el golpe preciso a los elementos de sonido pertinentes. Merece una felicitación que en persona ha recibido de parte de quien escribe. No se puede dejar de mencionar la ejecución maestra del primer violín que tiene un estupendo momento de brillo en solitario y el pianista que se mueve entres teclas de dos instrumentos diferentes a la vez con una absoluta y total maestría. Sin duda la mano y nunca mejor dicho de @jordifrances es una pieza clave y fundamental en el brillo de “La Regenta” porque la música es su principal baluarte.

La directora explora ese fenómeno teatral conocido y contundente de la soledad escénica. La Ana Ozores, que interpreta de forma brillante María Miró está sola en su escenario, el espacio le pertenece y solo ella lo llena. La desnudez en escena es tal que es asistida en acción dramática un sinnúmero de veces para vestir y desvestir al personaje con tosa suerte de trajes. Pero, es que  @MariaMiroM solo está asistida por su maravillosa voz para darle vida a este compleja mujer que emula. Es sorprendente como el guion ha logrado minimizar y condensar el personaje tan complejo de la novela y reducirlo a un torrente de emociones contenidas y no para una mujer que emana fuerza, pasión y es en sí misma un hecho real y verdadero. Brillante el trabajo de la soprano española. Así como se destacan y mucho David Oller El magistral, Fermín de Pas y un magnífico Cristian Díaz, el bajo colombiano en su Don Víctor.

La caja negra en la que se desarrolla la acción tiene una genial estructura posterior de andamios y escaleras que hace posible que los actores se distribuyan en la parte superior a la lo largo y ancho de toda la estructura guardando para que la cuarta pared que somos nosotros podamos ver como la soledad de la Ozores se llena en algunos momentos con más de veinte artistas cuyos personajes, todos, sin excepción le terminan aportando más soledad. Una iluminación correcta inoportuna da en un instante por una luz azul que intenta crear un efecto que resulta poco atractivo visualmente. El vestuario es indefinible, y es que precisamente eso busca, por eso resulta rompedor y en su atemporalidad aporta luz y sobre todo color.

Hay un recurso de preparación o calentamiento de la acción dramática utilizada probablemente en demasía en el que el personaje de La Regenta queda en silencio, en monólogo interno presa de sus emociones contenidas y pensamientos, que quizás es en momentos lapsos de tiempo muy largos. De hecho una segunda Ana está en el escenario en un diálogo interior al entrar el público en la sala y permanece sobre el escenario hasta que se inicia la obra aportando esa languidez y esa representación de la vida interna del personaje que acaba haciéndose por larga innecesaria. También hay un recurso digamos, cómico o quizá con intención de allanar el terreno haciendo todo más simpático que puede que sea un poco forzado, o al menos eso parece porque el concepto alrededor es tan sombrío y es tan contundente que lo excluye ideológicamente.

Cuando se disfruta de la Ópera en tu propio idioma, todo se redimensiona. Los textos, la intensidad de cada frase, son realmente muy emocionantes. Logras tener como público control absoluto de la escena y sus alcances. Te conviertes en un gran detector de fallos vocales y de logros virtuosos también. Escuchar y vivirla en castellano ha sido, algo inolvidable y muy significativo

Si el minimalismo inunda la escena es inevitable que el espectáculo tenga esa rigidez que da la frialdad. Cuando se desprovee al espectador del más mínimo recurso visual (en el escenario solo hay un hermoso Chaise Longue y nada más es inevitable que sientas esa ausencia como recurso y como ausencia también. Es de suponer que los puristas, quizá encuentren desatino en este recurso. La contundencia de un texto, la fuerza dramática que lo compone, que lo hace puede hacer que navegue en ese mar de nada, o en ese universo de inexistencia con fluidez pero, cuando se ha cortado tanto, el texto, cuando se le ha dado solo lugar a lo primordial y los adornos han sido suprimidos que en el escenario tampoco los haya puede resultar un poco subyugador. Pero, como cabe la posibilidad de que esa sea la intención de quien lo ha creado solo dejemos que el aplauso sea el evaluador

Esta es la nueva cara de la Ópera, el género evoluciona, crece. Se aferra a la vanguardia y es novedad y verdad, eso siempre y por fortuna España es un exponente de este proceso. Larga (y nueva) vida la ópera española.

La locandina

Direttore Jordi Francés
Regia Bárbara Lluch
Spazio scenico e luci Urs Schönebaum
Costumi Clara Peluffo
Edizione musicale Guillermo Buendía
Personaggi e interpreti
La Regenta, Ana Ozores María Miro
El magistral, Fermín de Pas David Oller
Álvaro Mesía Vicenç Esteve
Don Víctor Cristian Díaz
Paco Vegallana Pablo García-López
Obdulia María-Rey Joly
Petra Anna Gomá
Doña Paula Laura Vila
Sapo Gabriel Díaz
Orquesta Titular del Teatro Real
Coro de la Comunidad de Madrid
Maestro del coro Josep Vila i Casañas

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